Di Peter Brosens, Jessica Woodworth. Con Peter Van den Begin, Bruno Georis, Lucie Debay, Titus De Voogdt, Pieter van der Houwen.
Era il 1830 quando si costituì lo Stato belga, riunendo sotto la stessa Corona due popoli che c’entrano poco per storia e tradizioni: i valloni, di cultura francofona, e i fiamminghi, legati alla regione delle Fiandre. Da allora, le due parti vivono in quel pezzetto d’Europa da separate in casa: stanno insieme perché devono, ma covano e bramano da sempre la secessione. Ancora , se in principio i valloni sono stati la parte più ricca e predominante, c’è stato in seguito un inaspettato ribaltamento dei ruoli, un po’ come è accaduto tra il sud e il nord dell’Italia. Oggi i valloni sono considerati degli approfittatori sociali, ma persone accoglienti e dal cuore d’oro, mentre i fiamminghi sono senza dubbio i più ricchi, intellettuali e naif, ma peccano di superbia. Tutti cliché ormai acquisiti.
E allora, immaginiamo che un giorno i valloni, stufi di essere trattati da parassiti, chiedano e ottengano la secessione. Che cosa accadrebbe al re del Belgio, magari impegnato in una visita di rappresentanza in uno dei paesi dell’Unione Europea?
Attorno a questa bizzarria (che tanto irreale non è) è costruita la commedia “Un re allo sbando” di Peter Brosens e Jessica Woodworth, entrambi noti per i loro documentari, ma con alle spalle anche tre lungometraggi di successo.
Il re Nicolas III parte per una visita di Stato in Turchia, a Istanbul. Lo segue un regista inglese, Duncan Lloyd, incaricato di realizzare un documentario per ravvivare l’immagine della monarchia. In quel momento, arriva la notizia che la Vallonia si è dichiarata indipendente. Il re vorrebbe tornare in patria, desideroso di tenere un discorso che parli al cuore di tutti i suoi cittadini, ma per una tempesta solare il traffico aereo è sospeso. Comincia allora un rocambolesco viaggio on the road attraverso l’est Europa. Ne succedono davvero di tutti i colori, ma le peripezie si rivelano un’ottima palestra di vita per il sovrano, che alla fine del viaggio si riscopre un essere umano come tutti gli altri, con le stesse fragilità e soprattutto un fortissimo bisogno di libertà.
Già con “Dio esiste e vive a Bruxelles” di Jaco Van Dormael – la storia di un Dio egoista e bisbetico, che governa il mondo da un personal computer – ci eravamo trovati di fronte una storia surreale e per molti versi grottesca, tutti elementi che ora ritroviamo anche in “Un re allo sbando”. È di fatti questo surrealismo la cifra stilistica di ogni forma d’arte in Belgio (la lezione di Magritte non è mai andata perduta) a cui si aggiunge uno spiccato senso dello humor che contraddistingue quel popolo. Re Nicolas viene presentato senza troppi riguardi come uno scemo, un fantoccio nelle mani del suo entourage. Nemmeno l’Unione Europea e le sue mille contraddizioni sono risparmiate dall’arguzia dei due registi: “Perché la Turchia sì e la Bulgaria no, nella vostra UE?”, chiede un cittadino di Sofia.
Alla fine di tutto ne viene fuori un film molto lontano dal sentire “italiano” e dalla nostra idea di comicità, ma comunque infarcito di spunti interessanti, su cui ci si può fermare a riflettere.