“AMELUK” opera prima di Mimmo Mancini, merita due David di Donatello, uno alla regia, l’altro al miglior attore non protagonista. Purtroppo bisognerà rimandare la festa al 2015, per colpa della balorda distribuzione del cinema indipendente che non ha avuto il buon senso di farlo vedere in sala, entra la pasqua di quest’anno. (Bisognerebbe sostituire qualche ‘naso delicato’ che invece di selezionare i film con intelligenza chiede soldi come un magnaccia).
Il film di Mancini è l’opera italiana più variopinta degli ultimi 5 anni, per tante ragioni: Il soggetto è molto divertente, senza essere mai né salace, né ammiccante alla sub-cultura cabarettistica televisiva: tre simpaticissimi personaggi (un reazionario, un vetero-comunista e un musulmano) si candidano al ruolo di sindaco in un piccolo paese della provincia barese. Ognuno pensa di poter servire la comunità nel modo migliore, senza considerare quanto sono duri da superare i pregiudizi, le paure, gli interessi reali del popolo. Così tre ideologie malaticce, tre strategie elettorali dissimili, tre linguaggi sorprendenti si scontrano in ogni angolo di strada, in ogni casa, in ogni negozio creando un’enorme quantità di gag, battute, colpi di scena che aumentano in progressione geometrica la letizia degli spettatori. Mancini ha utilizzato una parte dei giganti de ‘Lacapagira’, compreso se stesso, ma tutto il cast ha la stessa energia raggiante della migliore commedia all’italiana.
Paolo Sassanelli, che interpreta un parrucchiere in preda al Metodo Stanislavskij, è perfetto, sempre. Non sbaglia uno sguardo, un’espressione, un movimento del corpo. È pazzesco come questo attore esemplare sia in una condizione di inferiorità lavorativa rispetto a tanti ‘colleghi’ che da lui dovrebbe andare a ripetizione.
Dante Marmone, se accompagnasse le sue ossa petulanti in Francia, Germania, Russia ce lo ruberebbero i migliori registi. La sua faccia spolpata farebbe scrivere pagine esilaranti a Cervantes o Molière. Il suo marxista leninista “Arafat” che coltiva erbe aromatiche da sballo e mangia kebab con la cipolla di Acquaviva è di abbondante intensità tragi-comica…
Ci vorrebbe uno sforzo letterario prolungato per descrivere la raffinata misura artistica di Cosimo Cinieri, Luigi Angiuli, Teodosio Barresi, Tiziana Schiavarelli, Roberto Nobile, Rosanna Banfi, Francesca Giaccari, Mehdi Madloo, Michele De Virgilio, Claudia Lerro. Noi sosterremo il peso di cotanto lavoro critico appena avremo il piacere di pagare il biglietto e vedere in 100 sale italiane questo gioiello pop, ancora inabissato nel pantano della burocrazia culturale italiana. ‘Ameluk’ lascia nella mente lo stesso sapore dei ‘Camillo e don Peppone’ di Guareschi. I dialoghi sono vibranti, il montaggio ha il passo dei bersaglieri, le scenografie si distinguono per l’ottima fattura artigianale. Le musiche di Livio Minafra, figlio del maestro Pino Minafra, sono di notevole consistenza folk, le scene di massa assomigliano ai dipinti brulicanti di Pieter Bruegel il Vecchio. Mimmo Mancini aveva sul set un’evidente scarsità di mezzi. È stato aiutato in ogni modo da tutta la gente di Mariotto. Il suo produttore ha pagato tutti i lavoratori, le comparse, gli artisti. Nessuno avanza niente. Questo film ha un altissimo valore etico, una levigata struttura drammaturgica inzeppata di idee originali (basti pensare al circolo per la ‘Tutela del congiuntivo’), una dignità artistica indiscutibile. Dunque, chi si occupa di cinema e ha potere decisionale non lasci da solo Mimmo Mancini nel supplizio del buio. Non se lo merita. Se non accadrà tutto quel che auspichiamo, cioè una dignitosa programmazione e i premi, vuol dire che siamo una comunità di falsi cinefili, addomesticati da padroni antipopolari e antimeridionali.