“Nostalgia canaglia”, cantavano nell’87 Albano e Romina Power dinanzi alla platea sanremese, ammiccandosi con occhi languidi. Un sentimento, quello della nostalgia, a metà strada tra malinconia e rimpianto, che mai come in questi ultimi anni ha raggiunto nella tv di Stato il picco del patetico.
Ogni sera, dopo il tg, Rai Uno propone quello che è stato definito il programma della memoria: “Techetechetè”, titolo fantasioso e bruttissimo, che dovrebbe etimologicamente rimandare alle famose “teche” Rai. Si tratta di 40 minuti di canzoni, filmati, gag e sketch tratti dal meglio della tv, grazie a un lavoro meticoloso e lodevole degli autori negli archivi televisivi.
Dunque, sul piccolo schermo rivivono “Canzonissima” e “Sanremo”; il grande varietà di Antonello Falqui, Cesarini da Senigallia, Corrado, Raimondo e la Carrà; i volti più amati della canzone italiana come Mina e Battisti, fino ad arrivare a qualche (raro, per la verità) programma contemporaneo degno di nota.
Dinanzi a tutte queste perle, i telespettatori più anziani gongolano di gioia, lasciandosi andare all’ormai trita e ritrita elegia di una passato che non c’è più (“Quante cose belle che facevano prima!”, mi ricorda ogni volta nonna Teresina). I più giovani, come possiamo immaginare, fanno zapping alla ricerca di qualcosa di più interessante, per poi ripiegare su internet, Netflix, Sky cinema ecc.
L’“operazione nostalgia” della Rai, come dicevamo all’inizio, si è accentuata negli ultimi anni, con programmi come “Techetecheté”, “I migliori anni” di Carlo Conti, fino all’amatissima fiction dedicata a Studio uno, andata in onda in questo inverno scorso. Un modo – almeno a noi sembra così – di oscurare il vuoto culturale e la pesante assenza di idee e progetti nella televisione contemporanea.
Tant’è che ci chiediamo, con un pizzico di amarezza: a furia di guardare al passato, di riproporre e ricicciare scene tratte da “Non è mai troppo tardi, “Milleluci”, “Teatro 10”, che cosa racconterà di noi la televisione di Stato fra trent’anni?
E già ci viene da piangere al pensiero delle future generazioni, costrette a riguardare frame della “Vita in diretta”, “Torto o ragione” e qualche altro talk show, che sono la migliore rappresentazione del nulla – o peggio del kitsch – della nostra televisione.