( di Carmela Moretti)
8 febbraio. Nelle opere di Leonardo Sciascia, Stato e Chiesa si combinano in una rete intricata di relazioni che stritolano e vincono i personaggi.
Ed è questo l’aspetto che hanno voluto mettere in risalto lo sceneggiatore Gaetano Aronica e il regista Fabrizio Catalano nell’adattamento teatrale di “A ciascuno il suo”. Al punto tale che i dialoghi e i monologhi hanno perlopiù il sapore di un attualissimo saggio di filosofia politica, mentre l’assassinio del dott. Roscio e del suo amico farmacista (Fabrizio Catalano) è lasciato volutamente sullo sfondo.
L’ambiguità di tutti i personaggi in scena emerge sin dalla loro apparizione, ma viene poco dopo rivelata più apertamente nella visione onirica del professor Laurana (Sebastiano Somma). A questo, gli altri protagonisti appaiono in sogno indossando maschere animalesche e palesando, quindi, il loro essere “persone” nel senso etimologico del termine.
Don Pasquale, interpretato dallo stesso Gaetano Aronica, conferma la tradizione dei tanti “don Abbondio” di questa società.
“Mi tengo addosso questa veste perché ci sto comodo”, dichiara in un diverbio con il professor Laurana, confessando senza mezzi termini il marcio che si cela nei meandri del potere religioso.
Il potere politico è, invece, rappresentato dall’avvocato Rosello (Alessio Caruso), dall’onorevole Abello (Roberto Negri) e dall’onorevole Testaquadra (Ivan Gambirtone), uomini che non stanno né a destra né a sinistra, bensì in un limbo di corruzione e compromessi.
“Destra, sinistra, non formalizziamoci in queste distinzioni”, protestano i tre al cospetto dell’ingenuo Laurana, il quale ignora che in politica non contano le ideologie ma vincere le elezioni (fosse anche sperimentando la tattica opportunistica delle larghe intese).
Ma Sciascia/Aronica è estremamente severo anche con le figure femminili, che risultano o troppo stupide, come la cameriera Lisetta (Vittoria Faro), oppure adultere e manipolatrici come la bella Luisa, interpretata da un’eccellente Daniela Poggi.
“La donna è caduta dal mistero dell’alcova e da quello dell’anima”, fa dire lo sceneggiatore al vecchio suocero di Luisa. E, infatti, quest’ultima si rivela tutt’altro che una donna-angelo, attivamente coinvolta nell’assassinio del marito.
E in ultimo ci sono i poveracci come il postino (Maurizio Nicolosi), che accetta di farsi strumento nelle mani dei potenti e non si capisce bene perché.
Dunque, è chiaro che lo spettacolo di Fabrizio Catalano colpisca soprattutto per le sue rispondenze con il quadro della politica attuale. L’Italia corrotta di Sciascia è la stessa di oggi e all’udire un’espressione come “conosco la destra e non mi piace; mi piacerebbe conoscere la sinistra, ma non so né come né dove trovarla”, il pubblico in sala non può che annuire compiaciuto.
Ma a richiamare l’attenzione degli spettatori sono soprattutto i due attori nazionali Sebastiano Somma e Daniela Poggi, a cui si deve sicuramente il sold out del teatro, ma che in scena non riescono ad oscurare del tutto il talento di altri attori secondari.
Roberto Negri, per esempio, reduce da un debutto pugliese con l’Immoralista di André Gide, si mostra un animale da palcoscenico che non ha nulla da invidiare al famoso magistrato della televisione italiana.
Solo una domanda resta da porsi, allorquando il sipario si chiude sulla scenografia di Antonia Petrocelli e sull’ultima delle musiche di Fabio Lombardi.
Esiste un briciolo di bene in quest’opera di Sciascia?
Senz’altro un po’ di positività sta nei cuori del suocero di Luisa (Giacinto Ferro) e del professor Laurana, che con la cultura hanno imparato a leggere tra le righe della realtà.
Ma entrambi restano una vox clamantis in deserto, perché “questi cani (gli Italiani?) non leggono” e la verità continua a essere seppellita sotto una coltre di logiche mafiose.