Adattamento per il teatro e regia di Alfredo Vasco, 2013.
Con Antonella Carone, Barbara Grilli, Loris Leoci, Antonio Marzolla, Cristina Siciliano, Stella Addario, Luana Loiacono, Caterina Paparella, Vito Pasqualicchio, Domenico Piscopo, Bruno Verdegiglio, Mauro Milano, Alfredo Vasco.
Giuseppe Verdi e il librettista Francesco Maria Piave sbagliarono il titolo: avrebbero dovuto chiamare “IL TRAVIATO” quel capolavoro della lirica che presentarono alla Fenice di Venezia nel 1853 e che ancora oggi è una delle opere più rappresentate al mondo. Infatti, il giovane ricco Alfredo Germont si era innamorato perdutamente della più seducente cortigiana di Parigi, Violetta Valery che coscientemente e serenamente, offriva la laetitia sessuale nell’ambiente aristocratico francese, come avrebbe fatto in seguito l’indimenticabile ‘Bocca di rosa’ in ambiente più popolare. Dunque era stato l’ingenuo benestante parigino a essere fuorviato, deviato, spinto sulla cattiva strada nel senso inverso alla direzione morale ottocentesca, ‘traviato’ dalla splendida Violetta che, al contrario, era una regina dell’erotismo, una ‘traviante’. Ma la cosa è poco importante. La verità è che gli spettatori, dopo lo splendido preludio dell’opera verdiana, sono ammaliati da così tanti meravigliosi passaggi musicali che si divertono a cantare le arie a memoria, senza più pensare alle responsabilità civili dei due personaggi. E allora ci conviene ringraziare Alfredo Vasco, maestro di teatro miracolosamente nato a Grumo, che quest’anno ha preso dimora creativa al Teatro Duse. Alfredo, non trovando in cassa i 300 mila euro necessari per allestire la classica ‘Traviata’ con orchestra e cantanti, ha prodotto con l’ingegno una cosa nuova ed emozionante. Egli si è riletto ‘La signora delle camelie’ (La Dame aux camélias), il celebre romanzo di Alexandre Dumas, scritto nel 1848. Poi ha studiato e selezionato i passaggi più suggestivi del libretto di F. M. Piave e, senza intaccare i due testi sacri, ha vergato un copione con il quale ha messo in prosa teatrale le due eccellenti fonti letterarie. Ed ecco la ‘Traviata’ in scena al Duse di Bari. Il palcoscenico del teatro è piccolo per una tragedia tanto grande, per cui i cambi scenografici si fanno a sipario aperto e, quando serve, gli attori straripano in platea. Il pubblico comprende, accetta, non si distrae. La drammatizzazione è efficace, l’illusione dura fino alla fine. La commedia è da vedere per due ragioni. La prima è poter conoscere, con dovizia di particolari, un irresistibile gossip parigino, ai tempi di Luigi Filippo. (Margherita Gautier e Violetta sono l’alter ego di una vera lussuriosa che morì a 23 anni, bruciata dalla tubercolosi, dopo un essere diventata famosa per gli scandali sessuali). La seconda ragione è pagare un biglietto economico per sostenere un gruppo di artisti capaci di volgarizzare il teatro nella società, con amore, coerenza e dignità artistica. Alfredo Vasco viene dalla campagna. Ha rinunciato al lavoro con le grandi compagnie nazionali e si è specializzato nell’arte dell’innesto, anzi nell’innesto dell’arte. Guardate questa Traviata’. Il regista ha insegnato ai giovani attori della compagnia sia gli errori da commettere senza paura di sbagliare, sia la capacità di separare sul palcoscenico il respiro dal battito del cuore. In pratica, le indispensabili regole della recitazione. Noi, escludendo dal giudizio critico quelli che hanno tollerato di interpretare una parte secondaria, diciamo qualcosa di sincero sugli interpreti principali.
Antonio Marzolla (Alfredo Germont) ha un aspetto simpatico e, grazie a Dio, riesce a non fare ‘l’occhio di triglia’ dello spasimante, nelle scene più romantiche con Violetta. Si muove senza far danni ai lunghi costumi delle figuranti e ha una voce vitale, seppure disossata dai timbri tragici. Si vede, ancora troppo, che finge di prendere per vero quel che recita, ma come attore ha un futuro favorevole. Ha commesso uno sbaglio che pagherà caro. Non ha intuito che la sua parte gli è stata assegnata da un regista pieno di risentimento.
Infatti, Alfredo Vasco (Giorgio Germont) avrebbe voluto per sé la parte dell’innamorato, ma non ha più l’età. Quindi il malefico regista ha impostato una recita zuccherosa per Marzolla e ha tenuto per sé i dialoghi più maschili e vigorosi con Violetta. In compenso, l’odioso padre che vorrebbe difendere la purezza sessuale di sua figlia, scandisce contro Violetta la battuta più stupida di tutta la commedia: ‘Se solo non aveste il vostro passato…’ non considerando che ogni persona non sarebbe quel che è, senza il proprio passato. Nella ‘Traviata’ di Verdi – Piave, Giorgio e Alfredo Germont (padre e figlio) sono due vigliacchi, eppure sono loro a rappresentare il sentimento più forte: il rimpianto di non aver posseduto quell’amore unico e raro che esige il ‘coraggio di possedere’.
Barbara Grilli (Flora Bervoix) non ha nessuna scoria dei corsi di recitazione. La sua figura fisica è adatta al ruolo di femmina prezzolata, in quanto ornamentale e peccaminosa. È stata apparigliata a Violetta, quindi deve giungere insieme ad essa al traguardo della morte, senza appassire nella poca luce che le viene data. Flora deve stare agli ordini della protagonista, ma la sua bellezza non deve appassire nella confessione dei peccati. Purtroppo la ‘spalla’ nel teatro ha un compito pesantissimo. Deve risparmiare le espressioni più intense e solamente alla fine, se si è sacrificata abbastanza, si ritrova con capitale e interessi. Barbara Grilli vibra, nel futuro merita le prime parti.
Loris Leoci (Gustavo) deve recitare, secondo il copione, tutte le cose illogiche che l’Amore rifiuta. Quindi, deve assomigliare a un ubriaco che vorrebbe camminare dritto. Bene, Loris Leoci non caracolla in scena, è un perfetto medium del senso comune e ha una notevole disponibilità di sfumature caratteriali. Sa colpire col sorriso e punire con la voce. Ottimo frutto del vivaio.
Cristina Siciliano (la zingara) è la più astuta della compagnia. Fa come ‘la volpe con l’uva’ nella favola di Esopo, ma cambia il finale in suo favore. Salta, raggiunge l’uva, se la mangia e dice ‘Tanto è acerba’. Ghiotta e solista, Cristina è una volpe rossa da seguire. A lei il regista ha affidato, nel finale, il compito di mostrare il peso dell’amore, che è uguale ad un soffio. Non è molto, per tanta carne imbottita di fiamme. Cristina ruota attorno al suo asse e lascia negli occhi del pubblico la sua immagine selvatica.
Infine, Antonella Carone (Violetta) ha 25 anni, è un’attrice fuoriclasse con patente europea. Sa vivere, sa morire, piange a comando e sa piegare l’ultima battuta della tragedia ad un’infinità pietà. Mescola perfettamente la voce e la mimèsi quando sono ancora fresche, le cuoce sotto i fari della ribalta e il suo personaggio diventa mirabilmente di porcellana. Non sbaglia mai. È difficile starle dietro. Antonella ha una recitazione fluente con la quale sommerge chiunque le sta vicino, senza mandarlo a fondo. E ha il profilo che si impregna di luce, quindi può fare il cinema. Ora, dire di più sarebbe troppo. Ma chi ama il teatro si prepari a chiederle un autografo.