SUFFRAGETTE

di Francesco Monteleone

di Francesco Monteleone

Un film di Sarah Gavron,
con Carey Mulligan, Helena Bonham Carter, Brendan Gleeson, Anne-Marie Duff USA, 2015

Il modo migliore di onorare il valore della donna, senza atteggiarsi a studiosi delle falsità dell’8 marzo, in questi giorni è andare in un cinema d’essai a pagarsi questo gioiello culturale; e subito dopo impegnarsi a resistere alla tentazione di dire quanto sono stupidi gli uomini con sesso maschile.
L’opera di Sarah Gavron, incentrata sul barbaro e feroce sfruttamento del lavoro femminile a Londra nei primi anni del 1900, merita una visione di massa perché purifica, rigenera e rinnova la memoria di un periodo storico sessista, maschilista e anti-libertario.
Facilmente queste parole possono essere fraintese e qualche sprogrammato amico di social scriverà che, per fare i radical chic, sosteniamo un film pesante, politicizzato e di sinistra. Giudizio sbagliato; vi siete fermati alle apparenze. Il film svela l’esistenza di gabbie sociali entro le quali sono state tenute a lungo le donne occidentali, “inferiori per natura agli uomini”, negando loro i diritti matrimoniali, la parità salariale, il certificato elettorale, l’assistenza sociale.  Ma tutto ciò è espresso con il linguaggio dell’arte pura, perciò il film è emozionante, commovente, tragico, pieno di tenerezze e, alla fine della fine della storia, entusiasmante.
La protagonista è Maud Watts (fatta da Carey Mulligan), una giovane proletaria arruolata nella lavanderia industriale da un padrone involuto che ti tira le mazzate dalle mani ogni volta che compare. Altrettanto squallido è il giovane marito, che affronta la vita con la ragione di una capra entrata per caso alla Sorbonne. Ma molto più insopportabile è il tracotante poliziotto Steed (Brendan Gleeson) che ordina il pestaggio e lo stupro delle suffragette, giustificando il comportamento della polizia come reazione obbligata a un torto ricevuto dal re Giorgio V.
Anche se le figure maschili sono tanto incapaci di empatia, noi spettatori ci sentiamo costantemente in comunione con due eroine che questo film ha consacrato a figure eterne: Emmeline Pankhurst (Meryl Streep sempre brava) fondatrice carismatica e ricercata della Women’s Social and Political UnionEmily Wilding Davison (interpretata da Natalie Press) della quale apprezzerete la condotta senza che vi diciamo altro.
Carey Mulligan, che generalmente imita le espressioni di una patata scotta in film molto importanti, questa volta ha scelto un personaggio con il cuore in fibra di carbonio; merita 10 minuti di applausi e tanti ringraziamenti liceali, perché con la sua recitazione ci ha guidati verso un’intarsiata verità: spesso quando ci troviamo di fronte a martiri ci domandiamo perché gente apparentemente normale ha rischiato e dato la propria vita per gli altri. Per altruismo, per amore della gloria, per animo divino? No. Come succede alla popolana Maud Watts noi diventiamo eroi per caso, quando trovandoci in una situazione critica sentiamo di agire con coraggio e senso di responsabilità. Ci sono due passaggi giganteschi in questo film-simbolo della emancipazione: 1) la testimonianza della lavandaia data al cancelliere dello Scacchiere Lloyd George. 2) l’epilogo, nel quale le autentiche immagini storiche in bianco e nero scoprono tutta la forza che spinse le suffragette a lottare così tanto, pagando così troppo.

Francesco Monteleone