di Damián Szifrón. Con Ricardo Darín, Oscar Martínez, Leonardo Sbaraglia, Erica Rivas, Rita Cortese
Per cominciare, sciogliamo un piccolo dubbio: anche se il nome di Pedro Almodovar compare ovunque a caratteri cubitali, la paternità di “Storie pazzesche” è dell’argentino Damián Szifrón (sui social network, al contrario, è lampante una certa confusione dei ruoli). Il cineasta spagnolo è stato produttore del film e deus ex machina, aiutando Szifrón a oltrepassare i confini della propria terra, in cui è molto amato sia come regista televisivo che cinematografico. Un progetto alquanto riuscito: ora il film compare nella lista dei candidati all’Oscar, scavalcando gli eccellenti “Winter sleep” e “Mommy”.
“Storie pazzesche” è una commedia nera sugli istinti ancestrali dell’animo umano; un cinico ritratto del mondo contemporaneo, condotto con la leggerezza e l’ironia di cui è capace solo la settima arte. Ancora una volta, quindi, la traduzione del titolo italiano appare fuorviante: con l’aggettivo “pazzesco” al posto dell’originario “selvagge”, i distributori hanno quasi voluto evidenziare la straordinarietà delle vicende narrate, come se a parer loro fossero un racconto fantascientifico. E, invece, sotto lo sguardo divertito dello spettatore -che sul grande schermo inevitabilmente vede rappresentato sé stesso- si squaderna in sei episodi un’umanità brutale e grottesca: un uomo raduna su un aereo tutte le persone che lo hanno ferito; una giovane cameriera avvelena l’aguzzino di suo padre; due automobilisti si uccidono per strada; un ingegnere dà una “lezione” al Comune; un ricco signore “immola” un pover uomo; due sposi si picchiano e si rappacificano per un presunto tradimento. A fare da collante a questi episodi (che di primo acchito hanno dell’assurdo, ma a pensarci bene sono storie di normale quotidianità) sono i sentimenti di vendetta, di odio e di rabbia, scatenati da una realtà disturbante e ingestibile. Sono molti, quindi, gli aspetti che pongono il lavoro di Szifrón sulla stessa linea d’onda del suo mecenate spagnolo -anche se nei momenti più pulp, è enorme il debito nei confronti di Tarantino- : sono tutte trame esilaranti, tragiche e provocatorie, che esprimono una visione disincantata della realtà e dell’uomo contemporaneo. Sullo sfondo, poi, compare un’Argentina colta nei suoi angoli più desolati e “primitivi”, immagini che si sposano perfettamente con la bizzarria e la vis polemica delle vicende narrate.