Salento Finibus Terrae, poche luci molte ombre

Di Dino Cassone

Di Dino Cassone

«Si sono spenti i riflettori, ieri 26 luglio, sulla tredicesima edizione del Salento Finibus Terrae nella splendida cornice del resort Borgo Egnazia di Savelletri a Fasano…». E bla, bla, bla. Classico attacco di un classico pezzo giornalistico che mira alla soddisfazione di tutti, dagli organizzatori agli sponsor, e giù, giù fino ai partner. Peccato che al lettore siano tenuti spesso celati i retroscena, qualcuno anche di cattivo gusto. Come quello che c’è capitato proprio ieri sera al “gran galà” cui eravamo, per la prima (e forse ultima) volta invitati.

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«Grazie. Le confermiamo l’accredito per il collega Dino Cassone alla serata finale, dalle ore 22.00». Questa la mail di risposta dal celere ufficio stampa del festival. Peccato che il momento delle premiazioni sia cominciato probabilmente quaranta minuti prima dell’orario indicato. Problemi tecnici, ci è stato riferito di fronte alla costernazione del sottoscritto e di altri “colleghi”, anche loro gentilmente invitati a partecipare al “prestigioso evento”. Senza contare l’accoglienza: nemmeno un posto a sedere o un calice. Almeno d’acqua, non del Ferrari che scorreva a fiumi tra i tavoli.

Evento che innanzitutto si tiene, sempre, a porte chiuse. Ci spieghiamo meglio: il festival dei cortometraggi è itinerante (e qui sta uno dei suoi punti a favore), e ha come mission, quella nobile di portare questo genere d’arte nelle piazze, tra la gente. E qui sta la prima nota stonata: mentre per quasi tutte le sezioni (sette su nove) il pubblico ha la possibilità di gustarsi anche le premiazioni e i vincitori, per due di queste (sezione “Corto Italia” e “Reelove”), proiettate bel territorio fasanese, questo momento di “celebrazione pubblica” della settima arte, è inspiegabilmente “sottratto” agli appassionati e non solo dei cortometraggi e del cinema in senso lato. Diventando, e qui sì che si tratta di scelte “di nicchia”, per pochi intimi, che pagano, peraltro, l’ingresso a questa “magica serata”. Una sorta di “grande abbuffata”, se c’è permessa la citazione cinematografica, destinata solo e solamente a «Chesta cummitiva accussi allera d’uommene scicche e femmene pittate» (ebbene sì, siamo in vena di citazioni…). Gran parte di comitiva che, magari, non ha nemmeno assistito alla proiezione di una sola opera in gara.

Ed ecco il ruolo della stampa: raccontare nei minimi particolari questa “autocelebrazione” tra premi “alla carriera”, premi speciali e premi “donati” dagli importanti sponsor ad altrettante “eccellenze” del cinema (e qui nutriamo forti dubbi in proposito). E forse, dopo il trattamento subito, nemmeno questo: ma interessa davvero tanto a questo festival il lavoro della stampa locale?

Peccato, perché di cose buone, questo festival ne ha: i cortometraggi. Ne abbiamo visti di belli, e alcuni sono dei veri gioielli. E non è un caso che a vincere sono sempre i lavori davvero migliori, E non hanno fatto eccezione nemmeno quelli di quest’anno, riferendoci, per chiarezza, a quelli che abbiamo avuto modo di seguire da vicino. Come il suggestivo e coloratissimo “Thriller” di Giuseppe Marco Albano, per la sezione “Ambiente”: un messaggio di speranza proveniente da uno dei paesaggi più dolenti del nostro Sud, la città di Taranto. Il film è originale nella sua essenza con una fantastica Anna Ferruzzo nei panni di madre dolcissima e moglie premurosa. O come il delirante “Storie di una notte” di Francesco Giorgi, vincitore nella sezione “Italia”, che ha come punto forte un montaggio volutamente “nervoso” ma di grande impatto visivo. Non ci sarebbe dispiaciuta, a questo proposito, la vittoria di “Sinuaria” di Roberto Carta, delicato e di forte impatto emotivo. E infine i vincitori della sezione “Reelove”: la miglior regia al molfettese Giulio Mastromauro per “Nuvola”, un corto dolcissimo che ha due assi a suo favore, la bellissima fotografia e gli sguardi del protagonista Mimmo Culicchio; come miglior corto invece è stato, giustamente premiato “Rosa” di Alessio di Cosimo: di una struggente bellezza, con due protagonisti immensi, Renato Scarpa e Lucia Batassa (alla quale abbiamo voluto rendere omaggio con la foto) Quest’ultima ci ha regalato l’ennesima perla cinematografica: Rosa è un personaggio che non dimenticheremo facilmente, e la nobiltà con cui la signora Batassa sfoggia “i segni del tempo” sul suo meraviglioso volto sono una lezione di vita, ancorché di cinema.

Dino Cassone