(di Mariella Forleo)
ll pugliese Rocco Zifarelli è considerato uno dei più grandi chitarristi europei ed è conosciuto in tutto il mondo nell’ambito del jazz-rock. Lo straordinario numero di collaborazioni con musicisti di fama internazionale sono il dato più eloquente del suo solido background artistico. Le sue innumerevoli esperienze lo rendono un musicista eclettico e versatile, in grado di affrontare qualsiasi sfida musicale. Un punto fermo nella sua carriera è la collaborazione, ormai ultra decennale, con il Maestro Ennio Morricone al quale è legato da un profondo sentimento di affetto e di stima. Zifarelli nasce come musicista autodidatta e inizia a suonare con la chitarra comprata da un suo carissimo amico. Oggi, possiede un numero incredibile di chitarre e strumenti simili ed è alla continua ricerca di suoni ed emozioni originali. Il suo stile è eclettico e comprende vari generi musicali, ma è con il jazz-rock che si esprime al meglio. Collabora con artisti del calibro di Linley Marthe, considerato uno dei più grandi bassisti in circolazione e artisti di pari valore provenienti da tutto il mondo come Joe Bowie , leader dei De Funkt. Attualmente vive a Parigi, ma la sua residenza fissa è a Roma dove trascorre molto tempo nel suo studio di registrazione. Ama profondamente la sua terra e per questo torna spesso in Puglia per esibirsi al fianco di musicisti internazionali e anche locali con cui intrattiene solide collaborazioni. Sta preparando il suo prossimo disco che si compone di nove brani, due dei quali dedicati a Ennio Morricone e uno scritto da Pippo Matino. Attualmente è impegnato in un lungo tour che lo porterà da Praga, Berlino, Budapest, Vienna e Istambul a Città del Messico, Los Angeles e New York, sempre al fianco del più grande mito contemporaneo della musica, genio delle musiche da film, Ennio Morricone.
Rocco, quando hai capito che la chitarra era il tuo futuro?
Non è stato un processo immediato, ma è maturato nel corso di qualche anno influenzato da alcuni amici dei miei genitori, che si occupavano di musica. Iniziai a otto anni a prendere lezione di pianoforte da un’insegnante severissima, ma abbandonai quasi subito, perché traumatizzato dai suoi metodi rigidi e violenti. L’istinto, però, continuava a portarmi verso questa passione e, influenzato dalle immagini televisive di alcuni grandi chitarristi, direzionai la mia attenzione verso la chitarra. Mi piaceva la figura del chitarrista rock che emergeva sul palcoscenico ( front man) rispetto agli altri musicisti, così iniziai ad ascoltare la musica di alcuni complessi come i Beatles e Led Zeppelin, subendo il fascino di chitarristi famosi come Jimmy Page e Jimi Hendrix.
Hai fatto molta gavetta, qual è stato il sacrificio più duro che hai dovuto affrontare?
All’inizio, ma anche adesso, il sacrificio più grande è il doversi spostare continuamente da un posto all’altro e adattarsi a nuovi ambienti e nuove persone. Da ragazzino giravo con la chitarra sulle spalle, molto spesso senza una meta precisa e facevo chilometri a piedi o in autostop per cercare persone che potevano aiutarmi a suonare. Generalmente, un ragazzo del sud deve fare più sacrifici rispetto a chi nasce in grandi città come Roma, Londra e New York, dove puoi coltivare i tuoi interessi musicali, senza abbandonare le tue radici e la tua famiglia. Poi ci sono i sacrifici legati ai rapporti umani, alle umiliazioni che si subiscono, alle difficoltà che, generalmente, un giovane musicista incontra sulla sua strada.
Quando hai iniziato avevi un progetto preciso, ti davi degli obiettivi da raggiungere?
Certo, ma il problema principale è che in Italia questo tipo di obiettivi casualmente diventano realtà importanti. A me, per esempio, è successo che si sono realizzate cose diverse da quelle che mi ero prefissato, rivelandosi, alcune volte, più importanti. Mi ricordo che quando sono partito da Casamassima, pensavo di fare il chitarrista per i cantanti di musica leggera e non avrei mai immaginato di specializzarmi nell’ambito della musica jazz e di insegnare questa materia al Conservatorio. Altre cose, al contrario, non si sono realizzate per mancanza di risorse economiche e per la mentalità tipicamente italiana della mia famiglia, che non è riuscita a vedere nella mia forte passione un potenziale su cui investire. Noi italiani, purtroppo, abbiamo bisogno del senso di sicurezza in ogni cosa e, a differenza di altri popoli, non abbiamo spirito di iniziativa, di improvvisazione e di avventura e, in ambito lavorativo, optiamo per il posto fisso.
Cos’è per te la musica e quanto si ripercuote sulla tua vita?
Bella domanda! La musica fa parte dell’indole umana. Io da bambino ho sempre avvertito un’attrazione per tutto ciò che era musica e ascoltavo in continuazione le sigle dei film e dei cartoni animati, tanto che conservo ancora un sacco di 45 giri che mio padre mi regalava. La musica ti entra dentro e gradualmente diventa fissazione e in seguito ossessione, che sono, comunque, funzionali all’apprendimento. L’amore per la musica è un processo di invasione molto lento, del quale non ti rendi conto subito fino a diventarne prigioniero. Ma è una piacevolissima prigionia!
Che emozioni ti dà una chitarra?
Il suono di una corda che vibra mi dà un’emozione profonda e indescrivibile. Mi entra dentro e fa vibrare l’anima, battere il cuore, echeggiare stati d’animo e ricordi. E’ un fatto arcaico ed è contenuto nella letteratura, da quella antica a quella moderna. Il parallelismo tra il vibrare di una corda tesa e il vibrare delle emozioni è spesso usato dai poeti per descrivere quel colpo al cuore che provoca una sensazione forte nell’animo umano sensibile. In pratica, musica e poesia hanno lo stesso effetto su chi le ascolta.
Tu insegni in vari Conservatori, cosa ti preme trasmettere ai tuoi allievi oltre alla pura tecnica di suono? La dedizione e la disciplina possono da sole forgiare un grande musicista?
La dedizione e la disciplina sono sempre state le mie caratteristiche principali. Nell’arte sono importantissime, ma valgono in tutti i campi della vita. Insegno molto questi concetti e cerco di educare i miei allievi ad ascoltare molto e bene. Mi piace che i ragazzi imparino a mettere passione ed entusiasmo nello studio della musica. Soprattutto perché ti aiutano ad affrontare ore di applicazione su uno strumento senza stancarti, conservando l’entusiasmo, come succede a me, dopo ore di studio.
Quali sono, secondo te, le doti fondamentali per fare il musicista per professione?
E’ fondamentale conoscere bene lo strumento, anzi benissimo, avere una grande conoscenza di tutta la musica, essere preparati e motivati. In più, occorrono doti caratteriali di equilibrio e adattabilità. Nel nostro lavoro, infatti, devi essere accomodante, perché specialmente i musicisti elettrici in Italia non hanno strutture di lavoro a tempo indeterminato e non esiste un sindacato che tuteli i nostri diritti, per cui devi saperti relazionare ai tuoi colleghi ed evitare di farti una brutta nomea professionale. In Italia, purtroppo, non esiste nemmeno il concetto dell’audizione e tutto si svolge tramite conoscenze. Per questo per poter lavorare è utile imparare ad accettare le condizioni che ti vengono richieste. Col tempo e con l’esperienza diventa quasi naturale.
Il tuo prossimo album contiene un omaggio a Ennio Morricone. Cosa ti ha insegnato il Maestro a livello artistico e umano?
Lavorare con Ennio Morricone è un’esperienza che ti arricchisce artisticamente e umanamente. Egli non si pone mai con l’atteggiamento del maestro, ma scende al tuo livello, ti rende partecipe chiedendoti pareri e ti concede una certa autonomia creativa. Uno degli aspetti di Ennio, che lo caratterizzano in maniera eccezionale, è l’estrema umiltà artistica e umana. Pur essendo uno dei più grandi musicisti di tutti i tempi, la sua umiltà è talmente genuina da diventare disarmante. Nel mio ultimo disco, che uscirà non appena effettuerò il mixaggio a New York, ho reso omaggio al Maestro con due brani rivisitati: Il Clan dei Siciliani e Gli intoccabili.
Vivi tra Roma e Parigi, ma ami tornare spesso in Puglia e portare con te musicisti di livello internazionale, cosa apprezzano i tuoi colleghi della nostra terra?
La nostra è una terra speciale, ricca di tantissime bellezze naturali e architettoniche. Quando mi è capitato di lavorare con stranieri e di portarli in Puglia, mi hanno ringraziato enormemente per avergli fatto conoscere i colori, i sapori e gli odori della nostra terra. Inoltre, i miei colleghi stranieri apprezzano la gente che è di una cordialità e simpatia pazzesche. Poi c’è il cibo, che li fa letteralmente impazzire. La cucina pugliese è una delle più complete al mondo: essa racchiude in sé tutti i sapori del mare e della terra. E poi c’è il mare meraviglioso, i paesini, i trulli, i centri storici, gli ulivi secolari della Valle d’Itria e tanto, tanto altro. E’ difficile trovare nel mondo un concentrato di tutte queste bellezze.
Quanto può influire la musica sul benessere della gente, specie in questo periodo di crisi economica?
L’arte, in generale, è il miglior termometro dello stato di salute di una società. E’ difficile generare dell’arte in una condizione di degrado sociale, ma è attraverso le manifestazioni artistiche più varie che si aiutano le persone a superare i momenti di crisi.