Una formula collaudata e gradevole, questo “Musica e parole del prof”, il recital che Roberto Vecchioni sta portando in giro nei teatri di tutta Italia. Ha fatto tappa anche qui in Puglia, a Fasano, compiendo il miracolo del sold out già ad una settimana dall’esibizione.
Sul palco, si presenta vestito casual (jeans, maglietta con l’immagine di Arthur Rimbaud e maglione), accompagnato dallo strepitoso chitarrista Massimo Germini. Dieci i brani in scaletta, alternati a tante, tantissime parole, in una sorta di racconto-confessione. Snocciolando riflessioni sul senso della vita, sull’importanza del credere in qualcosa, sui messaggi negativi che giungono dalla televisione e in special modo dalla pubblicità. Racconta barzellette e si commuove, Vecchioni. E, soprattutto, parla di letteratura, della sua smisurata passione per le parole. Cita Sofocle, Dante e Shakespeare; recita i versi immortali della poetessa Saffo e degli “Epigrammi erotici” dell’antologia Palatina. Lui, poeta della musica italiana, che ha reso la poesia protagonista del suo ultimo romanzo, “Il mercante di luce” (regalando al pubblico anche qualche stralcio), definendola «meravigliosa invenzione, capace di togliere dall’anima una grossa pena, ma al tempo stesso di addossartene una. Il poeta è la risposta al mistero».
Ed è quello che il cantautore milanese ha cercato di fare in quasi cinquant’anni di carriera. Dieci le perle (o quasi) regalate al suo pubblico, scelte, in gran parte, tra le canzoni meno note. “L’ultimo spettacolo”, omaggio cantato a Omero e all’Iliade; Il cielo capovolto”, sul sogno atavico dell’uomo di navigare; “El bandolero stanco”, unica nota stonata del repertorio selezionato; “Sogna ragazzo sogna”, “testamento spirituale” per i suoi alunni; la romantica “Le lettere d’amore (Chevalier De Pas)”; l’intensa “Vincent”, versi d’amore e amicizia dedicati a Van Gogh da Gauguin; “Due madri”, dedicata alle nipotine che la figlia ha avuto con la sua compagna; l’emozionante “Le rose blue”; la suggestiva “I colori del buio”, per concludere con la sanremese “Chiamami ancora amore”. Solo un bis concesso, l’intramontabile “Luci a San Siro”. E il pubblico s’infiamma, ne vuole ancora e comincia a urlare titoli di canzoni manco fosse un juke-box. Ma il cantante-poeta è visibilmente stanco (e ce ne siamo accorti dalla voce non al meglio, soprattutto nelle tonalità basse), e sorridendo si congeda con un: «Ho settantadue anni, io!». Cos’altro aggiungere?
Prima del concerto siamo riusciti ad avvicinare Vecchioni e gli abbiamo strappato due domande.
Professore, lei è sempre stato considerato un cantautore “di nicchia”. Quanto ha inciso il passaggio televisivo a San Remo che l’ha resa tanto popolare, soprattutto tra i giovani?
«Tantissimo. Quel passaggio è stato fondamentale e calcolato. Mi ero un po’ scocciato di essere seguito nei miei concerti sempre dai soliti affezionati. Volevo facce nuove, e cantare al Festival mi ha permesso questo. È stata la dimostrazione, una volta tanto, di come si può usare il mezzo televisivo in maniera più intelligente».
Il protagonista del suo romanzo è alle prese con il tempo. Come si può insegnare la dimensione del tempo a qualcuno che invece di tempo, non ne ha più?
«Non si può infatti. È impossibile. Nel mio romanzo sarà proprio chi di tempo non ne ha, il figlio, ad insegnare a suo padre, che quel poco che si ha a disposizione lo si può vivere meglio. Dovremmo imparare tutti da questa lezione».