Roberta Ferrara: la favola che si avvera

Di Dino Cassone

Di Dino Cassone

Uno scricciolo di donna forte e caparbia come una leonessa. La passione per la danza comincia a Lecco, lei ha solo 4 anni e, impavida, comincia a frequentare alcune lezioni aperte: di fronte allo specchio davanti a tanta gente non prova vergogna e punta il suo sguardo fiero negli occhi di chi assiste.
Roberta Ferrara, una vita dedicata alla danza. La danza è la sua vita. Anche quando i genitori per motivi di lavoro si trasferiscono a Pezze di Greco, una piccola frazione di Fasano nella suggestiva terra di Puglia. Qui Roberta prosegue gli studi di danza classica e moderna in una palestra: la strada percorsa per raggiungerla diventa così la strada piena di sudore e lacrime verso il magico mondo della danza.
Ha 14 anni la nostra Roberta quando comincia a studiare prima sotto la guida del maestro rumeno Joan Josif Girba, grazie al quale impara il rigore dell’arte coreutica, ad essere se stessa e a danzare non per farsi adulare dal pubblico; poi con Ernesto Valenzano a rob-2prendere coscienza del corpo e della tecnica. «Perché chi danza cammina sull’acqua e dentro una fiamma», lo diceva Garcia Lorca. E bruciando di passione, Roberta arriva a Roma e grazie all’ala protettiva del coreografo Mauro Astolfi, che le permette di frequentare e conoscere nomi di prestigio internazionale, prende il volo verso una nuova consapevolezza: creare la danza, non farla. E contemporaneamente agli studi universitari (tre anni fa si è laureata in Lettere moderne a indirizzo cultura teatrale), mette su un piccolo gruppo di allievi che poi sarebbe diventato la sua attuale e splendida creazione, la compagnia “Equilibrio Dinamico”. Cinque ballerini che lei segue da oltre dieci anni e che sono diventati amici e complici. Famiglia. Per questa talentuosa compagnia (vi invitiamo ad assistere a un loro spettacolo e non ve ne pentirete), hanno creato coreografi internazionali, regalando ai danzatori esperienze ed emozioni irripetibili. “Equilibrio Dinamico” è spesso in tour lungo la penisola ma anche all’estero, per esempio il Messico. Da veri professionisti.
L’insegnamento è una cosa che Roberta sa fare molto bene: ha cominciato a 17 anni nelle scuole medie e con le classi di ragazzini, poi via via con quelli più grandi provenienti da ogni parte della Puglia. «Insegnare è poter donare il proprio sapere ed è una cosa bellissima!», esclama mentre i suoi occhioni verdi si accendono come fari. Insegnare è anche studio, che per lei è alla base di tutto, e infatti Roberta lavora e impara ovunque: con il coreografo israeliano Emanuel Gat, alla Biennale di Venezia, al Ravello Festival e al Teatro Regio di Torino, dove impara la tecnica “Gaga”, una sorta di “danza emozionale”, ideata da Ohad Naharin. Oggi il suo corso di formazione conta 50 allievi provenienti da molte regioni, che rappresentano una grossa responsabilità e che lei spera «di non deludere». Nel frattempo, ha vinto il premio “Banco” a Firenze entrando così in contatto con il direttore del Balletto di Siena, la compagnia per cui oggi lavora come assistente di sala prove e docente presso l’Ateneo della danza. Ma non è tutto: sarà presto a Berlino, dove firmerà una creazione ad hoc per una danzatrice dell’Opera; a luglio, invece, volerà in Egitto dove parteciperà come docente a un seminario internazionale.
«La mia vita è un tappeto sonoro. Ho faticato tanto e non mi è stato mai regalato nulla. Ho lavorato e lavoro senza mai fermarmi, sento la necessità di migliorare me stessa e chi si affida a me. Oggi vivo a Siena ma il mio lavoro mi porta ovunque e questo è molto bello! Faccio un lavoro che amo, i miei progetti sono tanti e grandi e da buona ottimista ho chiari obiettivi da raggiungere per me e per la mia terra».
Una favola che può diventare vera e che capita ai caparbi come Roberta Ferrara, non più Cenerentola, partita dalla provincia per arrivare ovunque. E se è vero, come scrisse Simonide, che «la danza è una poesia muta», siamo certi che la principessa delle coreografie saprà regalarci nuovi “versi di passi”. Ma questa è un’altra storia.

Dino Cassone