È un reportage che tocca Turchia, Egitto, Siria e Libia, ma anche Madrid e Atene, per dar voce a quanti hanno deciso, a partire dal 2011, di riappropriarsi della libertà e della propria dignità.
Con il libro “Riscatto Mediterraneo”, Gianluca Solera -giornalista, scrittore e direttore del dipartimento Italia, Europa, Mediterraneo e cittadinanza globale di Cospe- ci porta nel cuore dei movimenti rivoluzionari della Primavera Araba e della ribellione degli Indignados nei paesi europei.
Come sono nate quelle rivolte? Che cosa accumunava tutti i giovani che in quelle giornate scesero in piazza per riprendere in mano il proprio futuro? Quanto è fondamentale avere fiducia nella capacità dei popoli di autodeterminarsi?
A parlarne è stato lo stesso Solera -testimone diretto di alcuni episodi in Egitto- in un incontro organizzato a Liegi dall’associazione l’Aquilone, in collaborazione con l’assessorato alla cultura del Comune di Liegi.
Il mediterraneo è costantemente al centro di tragedie inenarrabili, tanto che l’espressione “riscatto mediterraneo” può suonare come un ossimoro. Nello specifico, lei di quale riscatto parla?
Io parlo di due tipi di riscatto. Il primo è quello dei giovani del mediterraneo, quelli che dopo il 2011 hanno fatto le rivoluzioni in Libia, Turchia, Egitto e Siria e quelli che si sono mobilitati nelle piazze di Spagna, Italia e Grecia contro le logiche economiche e finanziarie repressive, in un vero spirito di contagio. Ecco, l’idea di questo libro è nata proprio quando ho cominciato a chiedermi che cosa avessero in comune queste mobilitazioni. La seconda lettura è rispetto all’eredità storica di questa area, che è stata praticamente dimenticata. Se prendiamo un qualsiasi manuale di storia, vediamo che smettiamo di occuparci di quello che succede attorno all’Italia più o meno con la scoperta dell’America, dopo di che non sappiamo quasi più nulla di quello che succede negli attuali territori, per esempio, della Libia. Quindi, è come se con il 2011 il Mediterraneo avesse ritrovato una sua centralità, un suo spazio di sperimentazione, nel bene e nel male.
Lei ha vissuto in prima persona alcuni episodi legati ai movimenti rivoluzionari in Egitto. C’è qualche avvenimento che le piacerebbe raccontarci?
Sì, io ho vissuto in prima persona la rivoluzione egiziana, perché vivevo ad Alessandria d’Egitto in quel momento. Non dimenticherò mai la data del 28 gennaio 2011 -quindi tre giorni dopo la rivolta- quando la gente è scesa in piazza in massa e quasi non ci credeva, non credeva di poter avere una tale forza. Io in loro non vedevo soltanto rabbia, ma anche molta gioia. La gioia di poter gridare e alzare la voce in pubblico – che era vietato fino a quel momento- semplicemente per dire “Io vivo, esisto, rivoglio lo Stato che mi è stato sottratto”. La sensazione che ho provato è che la gente avesse perso la paura e che quel giorno fosse come un grande momento di catarsi. Perciò, trovo che tutto questo sia una eredità importante, che non è stata del tutto scacciata dal ritorno della Controrivoluzione e del fondamentalismo, e sono scandalizzato dal presappochismo della politica internazionale, che pone davanti a ogni altra cosa la ragione del capitale. Ecco, quello per me è stato il giorno più bello, che mi fa sperare che quanto sia stato seminato in quegli anni troverà frutto.
Quindi, non parlerebbe di fallimento della Primavera araba?
Dipende dal paese. Ci sono stati degli errori, anche loro lo riconoscono. Per esempio, gli egiziani riconoscono l’errore di essersi affidati all’esercito e concentrati solo nello spazio urbano. In ogni caso, non mi sentirei di dire che sia stato tutto inutile. Non hanno vinto, ma il risultato conseguito è sicuramente indispensabile alla sopravvivenza e al riscatto di questa società.
Che cosa pensa delle misure di irrigidimento messe in atto da alcuni paesi europei contro i flussi migratori, proprio a seguito degli episodi di cui parla nel suo libro?
Penso che sia uno scandalo. È l’anticamera del fascismo, oltre che un dimenticare la nostra storia di migranti. È lo spirito di meschinità della contemporaneità e la vittoria dell’individualismo capitalistico. Secondo me ci porterà solo del male, spero che non ci porti una guerra.
Alcune settimane fa, ha suscitato polemiche la notizia della visita in Italia del presidente iraniano, per la quale sono state coperte alcune statue pagane. Lei ritiene che il dialogo tra i popoli passi anche attraverso la negazione della propria identità?
Ma per niente, siamo matti? Tra l’altro so che non è stata nemmeno una richiesta del protocollo iraniano, ma è stata un’iniziativa tutta italiana. Una visita costruita per commesse commerciali che si sono riaperte con l’Iran, senza alcun tipo di riflessione sulla contaminazione interculturale. Insomma, piccole miserie italiane.