(di Nicola Di Ceglie)
Cari compagni,
finché esisterà la CGIL, i morti di Piana degli Albanesi non li dimenticheremo mai. Questo è il bello del mio glorioso sindacato. Nessuna parola utile come ‘lavoro’ ‘lotta’ ‘salute’ subisce l’entropia, si degrada con l’uso. Nessuna data memorabile cambia calendario storico. E i nostri martiri civili rivivono in eterno, come i santi per i cattolici. Perché vi scrivo queste parole? Perché quest’anno è toccato alla SLC CGIL nazionale onorare il 1° maggio a Portella della Ginestra ed io ci sono andato. E non pensavo di emozionarmi così tanto. Come vedete dalle foto (dilettantesche) che allego all’editoriale il rituale è sempre lo stesso. In corteo si portano corone rosse alla Casa del Popolo. Poi si porta il saluto a Nicola Barbato, il medico nato a Piana degli Albanesi che nel maggio 1893 partecipò a Palermo al Congresso dei Fasci siciliani dei lavoratori ed era famoso per i suoi comizi socialisti a Portella della Ginestra, nei primi anni del 1900. Altra tappa, intensamente triste, è al cimitero dove sono sepolti tutti insieme i compagni uccisi tutti insieme. Infine bisogna scarpinare fino al pianoro dove il 1° maggio del 1947 quel traditore di Salvatore Giuliano, con la sua banda, ebbe il coraggio di sparare su lavoratori che manifestavano contro il latifondo. Il bandito, da vigliacco quale era, colpì la gente in festa, uccidendo 11 persone; quasi tutti avevano meno di 20 anni e c’erano pure due bambini. La più piccola aveva 8 anni, Vincenza La Fata. Altri 27 rimasero feriti e molti morirono in seguito. I motivi veri di quella strage non si sanno ancora. Salvatore Giuliano e il suo luogotenente Gaspare Pisciotta fecero la fine che si meritavano. Non sprecheremo l’inchiostro nemmeno per descriverla. La ginestra è chiamata la ‘frusta di Cristo’. Perdonate il mio rancore. Se è vero che le anime esistono dopo la morte, spero che quella frusta stia battendo la schiena dei codardi che hanno massacrato lavoratori innocenti.
Noi della CGIL ogni anno ci dividiamo. Una parte sostanziosa segue il segretario nazionale nella festa confederale (quest’anno Susanna Camusso è stata a Pordenone). Una piccola parte scende in Sicilia, vicino Palermo e fa sventolare le bandiere nell’aria che fu ferita dia proiettili e dal sangue. È un’ipocrisia ‘festeggiare’ dove c’è stato un massacro? No, cari compagni. I nostri sorrisi, le foto, i canti sono il nostro antidoto alla paura. Il dolore di quei morti ce lo trasmettiamo di generazione in generazione, silenziosamente, ed è quello che non ci farà mai piegare la testa di fronte ai prepotenti.
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