Durante una presentazione di “Politeama” (Mondadori), il suo primo romanzo, Gianni Amelio ha confessato di averlo scritto per dare sfogo all’imbarazzo di girare scene di sesso, promettendo che tra le pagine della sua storia il lettore ne avrebbe trovato in quantità. “Politeama”, però, è molto, molto di più.
Un romanzo di formazione, diluito in venticinque capitoli, filtrato attraverso l’obiettivo (cinematografico, ebbene sì) del protagonista Luigino, o Gino, o Ginetta se preferite. Intensi primi piani sulla sua famiglia, sul piccolo paese calabro dove è nato, sugli incontri e le relative avventure, sulla gente retrograda capace di ridere malignamente di fronte a quello che invece è un dono: una bellissima voce da donna. Una voce che lo porterà a una confusione d’identità, grazie anche alla mania di sua madre Ida (che non ci sta proprio con la testa) di vestirlo con gli abiti della sua sorellina morta. E travestito da donna Luigino, diventata Ginetta, diventerà la star di un circo prima, del cinema teatro Politeama Italia poi, interpretando («allungava le finali meglio di Flo Sandson’s») canzoni dense di ammiccamenti peccaminosi, da “Tu sei differente” a “Estasi”, da “Bocca desiderata” a “Io voglio darti questi fior”. Canzoni i cui versi aprono ciascun capitolo, eccezion fatta per gli ultimi due.
Ne passerà tante il nostro Luigino, più sventure che cose belle, a dire il vero. Avrà anche il tempo e la fortuna di provare l’amore. Tranquilli, non vi anticiperemo nulla, in nessun senso, perché il romanzo ve lo consigliamo caldamente. Una storia dal sapore antico vergata con parole che odorano di legna bruciata nel caminetto, che infondono una benefica nostalgia e nient’altro: ogni tanto è bello immergersi in una storia senza necessariamente trovarci la morale o qualche messaggio. Ah, per sua stessa ammissione, “Politeama” non sarà mai un film, o almeno non sarà mai diretto da chi l’ha scritto. E dopo che ci ha regalato capolavori come “Il ladro di bambini”, “Così ridevano”, “Porte aperte” e “Lamerica”, per una volta possiamo anche rinunciare. Grazie lo stesso, Maestro.