(di Maria Giaquinto)
No, non provateci più a dire che il nostro non è un Lavoro. Si comincia giovanissimi, a volte da bambini. Che si tratti di musica, di teatro, di danza o quant’altro, si affrontano percorsi di studio durissimi, sacrificando spesso molte delle attività tipiche dell’età adolescenziale. A volte incompresi dai genitori, giustamente affannati e preoccupati per l’incertezza e la precarietà di un lavoro che in Italia non riconosce agli artisti nemmeno il diritto a una pensione dignitosa, alla possibilità di ammalarsi, di essere sostenuti durante i fisiologici periodi di disoccupazione. E si viaggia, tanto, migliaia di chilometri, si fanno le ore piccole, per poi magari alzarsi l’indomani perché la famiglia e il lavoro ti aspettano, in ogni caso. E bisogna avere un fisico bestiale, una tenuta psichica notevole, per continuare a dare al pubblico quella qualità eccellente tanto spesso non riconosciuta dalla “politica”, capace solo di starci a contare quanti spettatori paganti riusciamo ad avere o quanti soldi facciamo guadagnare all’indotto turistico. Per poi sentirsi chiedere, quando dici che fai l’attore, il musicista, il regista, il danzatore: “Ah, ma di lavoro che fai?” Oppure: “ Ah, e dove lo fai?” Oppure “Sì, ma voi vi divertite….” Oggi, più che mai, vorrei sbattere in faccia a questi “signori” i tanti miei amici e colleghi morti per fare il proprio lavoro, o rimasti disabili, o colpiti da malattie che gli hanno impedito di proseguire la propria carriera, o quelli che vivono con la pensione sociale e costretti a lavorare ancora, fino alla fine dei propri giorni. Pagati peggio di qualsiasi altra categoria a fronte di giornate lavorative di 13, 14 ore. L’altro giorno è morta una ragazza di 22 anni, un’altra è in rianimazione. Perché si viaggia tanto, per raggiungere posti di lavoro sempre diversi, su strade pericolose e abominevoli, in un paese che ha scelto di privilegiare sempre e comunque il trasporto pesante su ruote, piuttosto che potenziare altri sistemi.
No, non è questo il prezzo da pagare per fare gli “artisti”. Non siamo dei privilegiati, siamo gente dedita alla Cultura, e meritiamo rispetto, non per la notorietà che alcuni, pochi, riescono a raggiungere, ma per tutto ciò che affrontiamo per amore del nostro Lavoro, senza il quale questo Paese sprofonderebbe nella melma televisiva dei “Talent” e dei “Reality”, disperdendo il proprio patrimonio di Storia e di Arte, come del resto sta facendo ormai da decenni con i “tagli” e la mancanza assoluta di programmazione culturale. In Italia l’investimento in Cultura è il più basso d’Europa, il nostro lavoro è completamente deregolamentato e lasciato alla “dittatura” del cosiddetto “mercato”, che sappiamo come funziona.
In tanti viaggiano per lavoro e sono esposti al rischio, non solo noi artisti. Ma quello che vorrei sottolineare è il fatto che, a differenza di altre categorie, il nostro “lavoro” non è riconosciuto come tale. E’ questa la differenza. E questo accade per una “deformazione” culturale che porta troppo spesso a considerarci dei “privilegiati” perché facciamo un lavoro che amiamo. Amare il proprio lavoro porta tanti di noi a sacrifici e rinunce, e quello che viviamo “fuori scena” è la parte più importante e pesante, quella che non viene mai presa in considerazione. Ciò che tutti guardano è solo il prodotto finale, quello che si mostra sul palcoscenico sotto lo scintillìo delle luci, ma non tutto quello che c’è dietro questo tipo di impresa. Questa tragedia rende visibile, purtroppo, l’aspetto peggiore della nostra attività, quanto costi “produrre Cultura”. Spero solo che almeno possa servire a far riflettere coloro che tante volte ci “dileggiano” per ciò che rivendichiamo per la nostra Vita, e ad abbattere la falsa mitologia dell’Artista come privilegiato e sfaccendato. Con tutto il rispetto per chi con l’arte si diletta, chi sceglie di vivere di spettacolo ha diritto alla dignità della propria professione, e tutti gli aspetti che la riguardano non possono essere più così colpevolmente ignorati da chiunque governi questo assurdo, grottesco Paese.
Un pensiero accorato e un abbraccio fortissimo alla povera Gabriella e a Ilaria, che lotta per continuare a vivere e a suonare, per regalarci Bellezza.