Regia di Philippe Le Guay. Con Fabrice Luchini, Lambert Wilson, Maya Sansa, produzione Francia, 2013.
È successo di nuovo e non per caso. Il cinema francese adatta alle sue esigenze un altro capolavoro del teatro e produce un film superbo, per un pubblico patrizio. Dopo i due bellissimi Polanski (Carnage e Venere in pelliccia) nel circuito d’autore c’è Alceste à bicyclette che rivisita l’opera più importante e difficile di tutta la drammaturgia francese, ovvero Le Misanthrope di Molière. Pochi sanno quanto sia difficile recitare Il misantropo in francese (fu scritto in versi alessandrini) e quanti danni irreparabili può fare la vanità di un attore che pensa di poterlo interpretare, senza la giusta preparazione tecnica. Questo film racconta la storia di due professionisti della recitazione che provano a mettere in scena il mitico testo, ma essendo imperterriti difensori delle loro scelte, diventano a loro volta due misantropi. Il film è una full immersion nei vizi umani. La vanità, la scaltrezza, l’opportunismo, l’egoismo, il tradimento sono distillati in scene di vita vissuta, in una parte della Francia che fa rabbia non aver ancora visitato.
Fabrice Luchini è un attore raffinatissimo che continua a interpretare personaggi originali, grazie alla maestria del regista Philippe Le Guay. La sua faccia indisponente non muove un muscolo della faccia, inutilmente. Ogni sentimento ha una espressione chiara, visibile e inconfondibile. Alla fine il suo personaggio (si chiama Serge Tanneur) reincarna lo spirito di Molière, proclamando con un doloroso silenzio di fronte all’oceano Atlantico, l’implacabile giudizio negativo verso gli uomini che sprecano la loro vita in meschinità.
Lambert Wilson è un altro fuoriclasse. Nel film veste i panni di un divo della televisione (Gauthier Valence) che sfrutta abilmente il terreno fertile del medium di massa al mondo più deprimente. Ironico e conformista, il suo personaggio rappresenta intelligentemente i valori e le convenzioni di questa società che si accontenta di poco.
Maya Sansa è una italiana rabbiosa, spiritosa, voluttuosa che combina e scombina i rapporti umani, fino alla mortificazione della carne altrui. In una battuta ella ricorda che gli attori francesi in Italia non sono conosciuti. È un invito per noi corretto a seguire di più il cinema francese, che vale qualitativamente quanto il Tour de France rispetto al Giro d’Italia. Quando questa unica donna in sceneggiatura canta ‘Il mondo’ di Jimmy Fontana ci viene voglia di abbracciarla, molto più di quanto si fa vedere in negligé. Questa opera filmica da 9 in condotta, dovrebbe essere considerata molto da chi si presenta dietro un sipario. Gli scontri verbali fra Alceste e Filinte, scritti da Molière nel periodo più cupo della sua vita privata, sono folgoranti esempi di teatro filosofico. Fabrice Luchini e Lambert Wilson, durante lo studio del bellissimo testo, litigano, sono dispettosi, mostrano egoismo, hanno gli occhi sfuocati dalle loro meschine voglie sessuali. Eppure, quando i due attori recitano la parte degli attori, la poesia si materializza in immagini; in questo modo il cinema mostra rispetto per il palcoscenico e tutti gli spettatori comprendono l’importanza dell’arte drammatica, che ci difende ogni giorno dalla stupidità del mondo.