Editoriale di Nicola Di Ceglie
In Italia non è ancora stato risolto il problema dell’analfabetismo ed è in aumento quello dell’ignorantismo. (La rima baciata è una licenza poetica). L’OCSE qualche giorno fa ha comunicato che tra i 24 paesi sviluppati noi siamo ultimi in preparazione letteraria e matematica. 3 Milioni di italiani non sanno non sanno distinguere una lettera da un’altra, una cifra dall’altra: sono analfabeti totali. Invece 20 milioni leggono con difficoltà e riescono a riconoscere qualche cifra. L’ignorantismo non è ancora misurato ufficialmente, ma ho il sospetto che sia molto diffuso. La maggioranza dei cittadini ragiona con superficialità, per ‘sentito dire’, ripetendo ovvietà e falsità messe in circolazione dai manipolatori della comunicazione di massa. Una buon esempio è la discussione generale sul problema del lavoro e le riforme necessarie a risolverlo.
Da quando si è sistemato a Palazzo Chigi il presidente Renzi annuncia tutti i giorni il ‘Job act’ (perché non parla in italiano?). Questa nuova legge sul lavoro vuol essere un riordino delle formule contrattuali, rispettando i 41 articoli dello Statuto dei lavoratori, conquistato col sangue, nel 1970. Professori ed esperti di Diritto del Lavoro devono certamente adeguarlo alle nuove economie, ma senza “battere la sella, per non battere il cavallo”. Diciamo meglio, lasciando da parte gli equini e rivolgendoci direttamente agli asini: il controverso art. 18 è un espediente dilatorio che non servirà a risolvere i vacillanti bilanci aziendali.
Noi sindacalisti abbiamo il compito della vigilanza e della difesa dei lavoratori, siamo pragmatici e le chiacchiere non ci piacciono. Matteo Renzi dice di essere di sinistra, ma si vanta di non voler trattare con i sindacati e, col sorriso in faccia, manca di rispetto alla nostra segretaria nazionale Susanna Camusso. Lui promette miracoli contro la disoccupazione, ma finora ha ripetuto barzellette poco divertenti sull’articolo 18. Non si risolve la produttività del lavoro restituendo il potere feudale ai padroni che ancora sognano di licenziare i dipendenti, alzando l’indice della mano. I signori del governo ci spieghino meglio: Perché Il lavoro a tempo determinato costa molto meno del lavoro a tempo indeterminato? Quanti anni dura una vertenza lavorativa in tribunale? E non vi sembra che la busta paga media sia più adatta a un film di Totò, visto che un lavoratore può spendere realmente in beni solo un terzo di quel che ha guadagnato? Il mio editoriale non è un saggio di economia. Serve per esprimere velocemente una posizione politica con la sintesi giornalistica. Ecco, noi della SLC CGIL pensiamo che un’azienda funziona se è diretta da un imprenditore onesto, se ha una valida missiontecnologica da realizzare, se tratta con banche che facilitano il credito, se le tasse sui consumi sono leggere e gli operai si sentono felici di lavorare. L’art. 18, applicato con la severità di un inquisitore, manderebbe a casa circa 2000 presunti ‘accidiosi’. Chi esulterebbe per un risultato tanto misero? In Italia servono 10 milioni di posti di lavoro e non gli ampollosi forestierismi che producono solamente i titoli sui giornali alla moda. Il “job act” deve essere negoziato tra le parti sociali. E deve seguire la più importante delle regole negoziali: “Inventare opzioni che possano portare a vantaggi reciproci”. Ripeto: reciproci, non oligarchici.