“Siete stati mandati dalla Madonna per portare lavoro”, sosteneva Rosina, una ottantaseienne di Mariotto, in quelle tiepide settimane di luglio. E una sera s’è fatta addirittura più ardita del solito, trattenendo per un braccio l’organizzatore esecutivo del film che aveva scambiato per il regista. “Per favore, venite anche l’anno prossimo”, ha chiesto a quell’uomo in un italiano annaspato.
Per quanti non dovessero saperlo, Mariotto è un paese poco distante da Bitonto e tutto ciò che possiede è una chiesa, una grande piazza, qualche esercizio commerciale e poche abitazioni tutt’intorno. Ragion per cui nessuno avrebbe pensato che, un giorno, questo luogo si sarebbe trasformato in un set cinematografico e che gli abitanti sarebbero diventati parte integrante di un progetto artistico e culturale. E invece, proprio in questo paese, l’attore bitontino Mimmo Mancini ha voluto ambientare il suo primo film da regista, perché si prestava bene ad accogliere quella storia sull’integrazione ch’egli aveva scritto con l’amico Carlo Dellonte.
Il primo ciak di Ameluk (questo il titolo del film, che sarà prossimamente sul grande schermo) è stato battuto il ventiquattro giugno. Ma i sintomi di uno sconvolgimento in arrivo si erano già mostrati nelle ultime settimane di maggio, quando un gruppo di forestieri si aggirava con il regista per le strade del paese. Appresa la notizia delle riprese e intravedendo la possibilità di un guadagno dietro quel progetto artistico, i mariottani più intraprendenti non hanno perso tempo per proporsi come guide, autisti e manovali.
Poi, a partire dal ventiquattro giugno, la carovana delle maestranze e tutti gli attori sono approdati nel paese, rianimando una realtà che agonizzava sotto il fardello della crisi.
Lino, il barista del paese, in quei giorni vendeva cornetti e gelati a volontà. Al punto tale che, sentendosi affaticato, in alcuni momenti invitava simpaticamente gli ospiti ad andare via il prima possibile.
Giovanni, che a Mariotto gestisce un ristorantino, provvedeva al buffet. Nella mezz’ora di pausa dalle riprese, Roberto Nobile, Rosanna Banfi, Carlo Cinieri, le truccatrici e le parrucchiere, i costumisti e tutti i tecnici si rifocillavano presso il suo locale.
Tanino, invece, è il proprietario dell’unico ferramenta: nel suo negozio, lo scenografo e gli aiutanti cercavano l’occorrente per l’allestimento delle location. Ma sono stati ingaggiati come comparse anche circa duecento mariottani, preferendo i disoccupati come avevano espressamente richiesto il regista e il produttore. Un esempio su tutti è quello di Sadri, originario del Kosovo, che ha ricoperto un piccolo ruolo e che, per qualche giorno, ha potuto “sfamare la famiglia senza troppi grattacapi”.
Quindi, il progetto Ameluk è stato per Mariotto un’avventura entusiasmante e al tempo stesso un motivo di guadagno. E sebbene i mariottani sperino sempre che sia l’agricoltura il settore trainante di una ripresa economica, essendo perlopiù contadini, ora concordano nel ritenere che anche la cultura è lavoro.
“Magari venissero ogni anno”, commentano ancora oggi gli abitanti del paese, a ormai tre mesi dalla chiusura del set.
Carmela Moretti