(di Carmela Moretti)
Per preparare l’esame di Storia Medievale, gli universitari trascorrono mesi e mesi a studiare. Sbuffando per il caldo o digrignando i denti dinanzi a un camino, nel faticoso tentativo di “mandare a memoria” date, episodi e dinastie. Poi, uno spettacolo: “Lu santo jullàre Françesco” di Dario Fo, che un grande Mario Pirovano ha interpretato lo scorso 8 agosto sul sagrato della Cattedrale di Monopoli. E d’improvviso, centinaia di pagine sul francescanesimo si fanno più chiare e s’incatenano all’anima, questa volta per restarci. C’è poco da fare, nella vita s’impara giocando.
Il maestro Dario Fo ha scritto questo spettacolo nel 1998, quando già era Premio Nobel. A persuaderlo, è stato il piacere e al tempo stesso il dovere morale di scavare tra i documenti e riconsegnarci la figura del santo, teatralizzandola come solo lui sa fare. Ne è conseguita un’immagine di Francesco quale giovane eversivo e per nulla sempliciotto, che s’è nascosto dietro la maschera del giullare e del mentecatto per dialogare più davvicino con il potere. Perché solo ai bambini e ai pazzi è consentito dire tutta la verità. E tale è stato Mario Pirovano nella cittadina pugliese: un giullare forsennato, che ha saputo servirsi perfettamente di braccia, busto, gambe e vocalità, pazzo d’amore per il teatro e per il suo pubblico. Ma chi è, in realtà, Mario? Uomo sorridente e dal cuore grande, ha conosciuto Dario Fo e Franca Rame negli anni ’80 e da allora è diventato come un figlio. Ha seguito il maestro nella sua attività creativa, nei suoi spettacoli, nei momenti più felici e tragici della vita. E quando Dario ha dovuto rallentare il lavoro, ne ha raccolto l’eredità e ha continuato a portare in tutto il mondo le sue opere, dal “Mistero Buffo” a “Johan Padan a la descoverta de le Americhe”. “Io interpreto i testi di Dario nella versione originale”, tiene a precisare, “in giro ci sono tanti rifacimenti che spesso mi lasciano perplesso”.
Nello spettacolo “Lu santo jullàre Françesco”, l’attore ha inscenato episodi della vita del santo, alcuni più celebri e altri censurati per secoli, secondo un’impostazione rivoluzionaria e non agiografica: da “Francesco incontra il lupo di Gubbio” alla concione che tenne nel 1222 ai bolognesi, senza tralasciare l’incontro con il papa guerriero Innocenzo III. Antico e arcaico il linguaggio, comico e a tratti ieratico lo stile. E di tanto in tanto, dinanzi a tutte le curiosità di cui è intriso il testo, un’evidente espressione di divertimento e stupore si accendeva sui volti degli spettatori. Per esempio, sapevate che nel mondo medievale gli uccelli sono espressione del potere in tutte le sue forme? E che, in Terra Santa, Francesco è stato l’unico cristiano a conquistare la benevolenza dell’irremovibile Sultano? Dunque, “Lu santo jullàre Françesco” è uno spettacolo ricco di riferimenti storici, erudito e gradevolissimo al tempo stesso, che il “giullare” Mario Pirovano ha saputo interpretare in maniera eccellente, incantando tutto il pubblico monopolitano.