Un film di Paolo Taviani, Vittorio Taviani
Con Lello Arena, Paola Cortellesi, Flavio Parenti ecc. Italia 2015
Oggi quasi tutti gli italiani sanno i ‘cazzi’ di Montalbano, Suor Angela e don Matteo, e leggono con trepidazione le storie di ‘Novella 2000’; un fesso su mezzo milione ha (forse) letto le cento novelle del Decamerone. Chi vi scrive, per esempio, ha un’edizione lussuosa del capolavoro di Giovanni Boccaccio comprata a rate dai genitori, che sfoglia ogni 5 anni per vedere i disegni illustrativi. I laureandi in Lettere studiano forzatamente da qualche antologia le 3 o 4 novelle che servono per l’esame e collocano storiograficamente il Boccaccio tra i normanni e il Rinascimento, senza sapere null’altro. I morbosi frequentatori dei cinema negli anni ’70 considerano il Decameron come un vecchio libro pornografico che oggi non serve più, perché sono in vendita le ‘cento sfumature…’
Perciò i Fratelli Taviani meritano di ricevere dal presidente Mattarella il titolo di Cavalieri della Repubblica, in quanto hanno tolto la polvere lessicale e le incrostazioni ideologiche a 5 fantastici racconti (solo 5, purtroppo!) rendendoli visivamente incantevoli, ma onorando uno dei libri più intensi di sempre. Non sarebbe una follia richiedere ai due geniali maestri di cinema la sceneggiatura di tutte le altre novelle boccaccesche: avremmo 100 cortometraggi da studiare nelle scuole e nelle università di tutto il mondo, per poter decollare a ritroso nel tempo, riuscendo a comprendere la profonda spiritualità del Medio Evo italiano.
Questo film vi farà ardere il cuore come l’Inno di Mameli quando ci sentiamo un popolo unito e valoroso. I paesaggi e le locazioni, purificate da 8 secoli di manomissioni e guasti ambientali, fanno venir la voglia di trasferirsi nell’appennino umbro-toscano. Gli attori, anche quelli famosi come Kim Rossi Stuart, sono irriconoscibili, tanto appaiono più bravi e più belli. Perfino Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Vittoria Puccini e Carolina Cresentini che nella recitazione sono dei monoreddito, qui sembrano millecuplicati per tenerezza e raffinatezza. La fotografia di Simone Zampagni sembra ricavata da un colpo di mannaia dato all’arcobaleno, con il quale il direttore riesce a ottenere il vivo colore interno alla luce. Le scenografie, rinforzate da un ottimo lavoro degli antiquari, risplendono in ognuna delle inquadrature. I costumi Lina Nerli Taviani (forse troppo pregevoli per il terribile anno 1348) sono filati così bene che viene voglia di indossarli ancora oggi.
Questo capolavoro (che ha 10 minuti di inutili pomiciate giovanili) ci induce a riflettere: noi italiani non ci accorgiamo di vivere nel posto più bello del mondo. Da bambini giochiamo tra architetture secolari di straordinaria potenza creativa, da adulti ci capita di lavorare in palazzi zeppi di opere d’arte che non sappiamo nemmeno riconoscere o classificare. Siamo come quegli stupidissimi figli di ricchi che non conoscono l’origine della loro eredità e la dissipano. Preferiamo finanziare i fuochi di artificio piuttosto che le botteghe di restauro, lasciamo franare i borghi e crollare le chiese, non studiamo la nostra poesia e ignoriamo dov’è sepolto un mito assoluto come messer Boccacci. Invece l’Eden è proprio in Italia; l’anima della nostra gente contiene i principi attivi dell’armonia e della melodia. Se questa avida classe di governanti sapesse sfruttare tanto talento artigianale o artistico, noi italiani saremmo molto più rispettati e ammirati dall’umanità intera. Sui registi ogni nostra parola è insufficiente: I fratelli Taviani hanno dato l’ennesima lezione di cultura umanistico-rinascimentale. Sono due pittori di cinema, due maestri di bottega nati in Toscana che (finalmente!) hanno fatto molto meglio di Pasolini, rileggendo il Decameron.