La sua riservatezza è la prima cosa che mi viene in mente, di punto in bianco. Ettore Scola parlava con gli occhi, al solito dolcissimi. Arrivava all’hotel la mattina del primo giorno del Bif&st di Bari -di cui era presidente- dove ad attenderlo c’eravamo sempre io e la mia collega, nei nostri tailleur più o meno perfetti.
Come due sentinelle scrupolose e zelanti.
Arrivava con un paltò verde -l’andatura lenta e il portamento di un uomo a cui l’età non ha tolto l’eleganza- affiancato da sua moglie Gigliola. Era chiaro, già a un primo sguardo distratto, che il maestro avesse un grande bisogno di quella donna energica e premurosa, da cui non si separava mai. Un bisogno che nasceva dalla sintonia dei loro cuori e da un amore semplice e forte, che in tanti anni di matrimonio aveva saldato quella coppia fino a farne una cosa sola.
“Il presidente non deve mai essere lasciato solo”, era la prima cosa che ci dicevano nella riunione che precedeva l’inizio dei lavori.
E chi lo avrebbe mai lasciato? Anche seguire con lo sguardo i suoi movimenti, resi lenti e dolenti dall’età e dalla fatica, poteva essere un piacere.
Qualche volta, mi capitava di approfittare delle ore di inattività per studiare. Ero assorta nella lettura del romanzo“Venere in pelliccia” di Sacher-Masoch, quando il maestro comparve alle mie spalle. Preoccupata per la pessima figura, mi rimisi sull’attenti, pronta a raccogliere una sua eventuale richiesta.
“Stai leggendo il romanzo di Sacher-Masoch?”.
“Sì maestro -biascicai, ancora turbata- in realtà, sto lavorando alla mia tesi di laurea sul rapporto tra letteratura e cinema. Tratterò del film “Venere in pelliccia” di Polanski”.
Ci tenevo tantissimo a fare bella figura con Polanski.
“Ah. Decisamente meglio il romanzo”, rispose, con una smorfia sul volto.
Che incredibile lezione è stata per me! Un grande regista, in quel momento, stava sostenendo l’indiscutibile superiorità della letteratura e delle parole sul potere delle immagini.
Perché le parole sono vita e sostanza di tutte le cose.
E ancora, le sue domande sugli studi, su quello che avrei fatto in futuro, sulla mia passione per il giornalismo e sulle speranze di poter entrare nel mondo della scuola, in Italia.
L’ultimo giorno del Bif&st, quello dei saluti, è sempre stato malinconico: un abbraccio fortissimo a Margarethe Von Trotta, un bacio a Felice Laudadio e a sua moglie e, poi, il turno di Ettore Scola e di Gigliola.
Lo scorso anno, vincendo ogni suo riserbo, il maestro si lasciò andare a un gesto d’affetto, inaspettato. Una carezza sulla guancia e una semplice promessa: “Mi raccomando, ci vediamo l’anno prossimo!”.
“Certo. All’anno prossimo, maestro”.