(di Nicola Di Ceglie)
“La lettura dei giornali è la preghiera del mattino” diceva Hegel, con una impegnativa metafora. E io ‘prego’ da molti anni, sempre rispettando il rituale della nostra religione laica, che forse è meglio precisare: i giornali li compro, diciamo 2 o 3 a seconda del budget degli spiccioli destinati all’informazione. Di sicuro non vado a ‘pregare’ al bar, aspettando che una lunga fila di scrocconi lasci libera la Gazzetta del Mezzogiorno. Ebbene, sabato 5 aprile sono stato attratto da una bella fotografia femminile di Aurélie Filippetti, una fantastica signora di 40 anni che dal 2012 è ministro della Cultura in Francia ed ora è stata riconfermata dal nuovo premier Manuel Valls. Per trascorrere un pomeriggio a dialogare con lei rinuncerei a 5 direttivi con i miei compagni di sempre, la maggior parte dei quali si chiama Tonino (un trisillabo che mi ricorda il suono di un clacson anni ’70). Invece Aurélie ha un nome esotico e poi ella dice cose che dimostrano la ricchezza della sua interiorità. Sto facendo il cascamorto con una regina d’oltralpe? Forse sì, ma lasciatemi sognare perché non sarò mai commissario europeo e preferisco lasciarmi soggiogare da una donna combattiva che ha scritto molti libri (e non le poesie a Berlusconi di Bondi), che ha i nonni di Gualdo Tadino (viva l’Umbria) e che ripete una verità apparentemente eretica: in Francia l’industria culturale produce un giro d’affari di 58 miliardi di euro, superiore a quello dell’industria automobilistica. E qui smetto con le lusinghe perchè mi incazzo. Dopo la civiltà ateniese di Pericle, Sofocle, Euripide, Aristofane, Platone ecc. solamente noi italiani abbiamo saputo dare un’altra magnifica svolta alla storia di questo maltrattato angolo dell’universo. Il nostro Umanesimo e Rinascimento sono stati una rivoluzione pacifica contro l’oscurantismo e per quanto da 20 anni ci stiamo impegnando a distruggere tutto il possibile, abbiamo ancora un immenso patrimonio culturale che potrebbe rendere flussi di denaro 5 volte maggiori di quelli francesi. Aurelia (chiamerò così la nostra compatriota) dice che ‘la cultura non è una merce qualsiasi’. Non vale nemmeno la pena di ribadire quanto siano preziosi i castelli di Federico II, le tele del Caravaggio, le opere di Giuseppe Verdi, la Divina Commedia, il centro storico di Napoli, gli affreschi di Giotto del 1270 che hanno dato inizio all’arte occidentale…E noi che facciamo in Italia? Riduciamo i soldi alla Cultura. Invece di finanziare teatri, scuole d’arte, conservatori, università e istituti di ricerca non riusciamo a pagare nemmeno i custodi dei musei o i guardiani di Pompei e lasciamo ad assessori fasulli il compito di distribuire patetici contributi alle associazioni utili elettoralmente. La cultura è la conoscenza prodotta dalle arti. Essa va finanziata, intelligentemente, affinché possa trasformarsi in una passione energica e trasformatrice. Quando la smetteremo di rifocillare i raccomandati dei sovrintendenti o le fondazioni assegnate ai trombati della politica? Il compagno direttore del mio sito preferito (questo che leggete) dice che per essere sopportabile non devo superare i 3000 caratteri. Dunque, concludo e vi risparmio tutto il mio risentimento. Ma riprendo l’affascinante Amelia che ha saputo sbugiardare il Ministro del Tesoro famoso per aver sintetizzato con altezzosa saggezza: “con la cultura non si mangia”. Tremonti ora è stato messo a dieta dalla storia e dagli elettori. Invece la Filippetti, nella Comunità europea, sta costruendo leggi di protezione in favore degli autori, vuole abbassare le tasse ai prodotti culturali e digitali e proprio sostenendo la cultura vuole contrastare i populismo, la xenofobia e il razzismo. Ho ritagliato l’articolo, nel caso qualcuno di voi volesse una fotocopia. Io ritorno ai miei Tonini che ogni giorno centuplicano le forze per dimostrare l’unico, efficace, risolutivo teorema: solo con la cultura si mangia. L’ignoranza ha sempre affamato i popoli.