In un’ora si consuma la tragedia: la cavalcata di Tarquinio fino a Collazio, l’ospitalità dell’ignara Lucrezia, la brutale violenza nel cuore della notte, il suicidio di lei. Il tutto disvelato dalle parti narrative affidate allo stesso Malosti e dalle parole -supplichevoli e pudiche quelle di lei, intemperanti ai limiti della follia quelle di lui- che si scambiano i due attori.
Perfetta nella parte Alice Spisa, la cui passione per un ruolo certamente non facile traluce anche dallo sguardo: Lucrezia, emblema della donna violata nel corpo e nell’anima, tragedia dai contorni sempre nitidi e che rivive ancora oggi in ogni fanciulla o moglie oltraggiata. Dal canto suo, il corpo imperlato di Jacopo Squizzato esprime chiaramente l’impegno morale e fisico di una rappresentazione che unisce danza e recitazione: il bruto Tarquinio il Superbo afferra la donna, la spoglia ed entrambi si agitano in pose di danza che evocano anche visivamente la crudeltà dell’atto. Niente, infatti, nella messinscena di Malosti viene lasciato all’immaginazione dello spettatore o alla bellezza delle parole di Shakespeare, neppure la nudità dei corpi che solo in alcuni momenti della pièce può risultare inopportuna.
Una curiosità che non tutti sanno, però, è che per un’ora gli spettatori soffrono e palpitano per una tragedia che quasi sicuramente non si è mai consumata. Nella trasposizione leggendaria dei fatti storici, lo stupro indica il passaggio brutale da una forma di governo a un’altra (quello che noi chiamiamo colpo di stato) e, in questo caso, Lucrezia starebbe a simboleggiare la fine violenta della monarchia e l’inizio della Res Publica.