TEATRO ABELIANO stagione 2013:
Regia di Mimmo Mongelli con Roberto Negri, scene e costumi di Tommaso Lagattolla.
Dopo la morte del padre, evocato e venerato con il profumo di incenso, l’intellettuale Michel (Roberto Negri) osa mettere in scena tutti i dubbi sulla sua esistenza. Per dialogare nel modo migliore con se stesso, il protagonista racconta al pubblico ciò che accaduto nel prosieguo della sua vita, utilizzando la pietosa sincerità come oblazione per i peccati commessi. L’essere umano è una mente galleggiante in un corpo quasi sempre malato, che incontra e sviluppa sentimenti con altri corpi cagionevoli, deformi, corrotti. La vita è sprovvista di resurrezione. Essa va in fumo dopo essere stata assoggettata a un continuo flusso di rischi e solamente l’attività del pensiero sospende temporaneamente la paura fisica. Michel si fidanza con Marceline per dare inizio alla sensualità. Si sposa e dopo l’unica notte di sesso, decide di internare i propri desideri, nella capsula aculeata della propria anima. Per poter soddisfare gli appetiti permanenti creati dalla sua inquietudine Michel riprende a viaggiare, a insegnare in Accademia e nella quotidianità si scarognisce in una casalinghitudine fastidiosa. Il risultato di tanto impegno sarà una tragedia senza strazio. Michel si ribella alla lettura, detesta le persone con princìpi morali, apprezza la gioia cinica del suo unico amico Ménalque, infine accompagna la moglie a morire di tisi ad Alcantara. Ma perfino i morti invecchiano velocemente. “Tre mesi mi hanno allontanato di 10 anni” è l’ultima battuta polarizzata da Roberto Negri verso la platea. Il pubblico ha tutti gli elementi per ricostruire la vicenda drammatizzata.
[singlepic id=13 w=320 h=240 float=left]Benissimo, e ora consideriamo i contenuti: se ricordiamo fedelmente, fino a circa 20 anni fa André Gide era letto con attenzione, nel senso che si compravano i suoi libri. Le avanguardie della sinistra apprezzavano la sua morale fervente che gli aveva fatto vincere il Nobel nel 1947. Oggi Gide fa l’effetto di una stufa in disuso. È parte dell’arredamento letterario, ma nessuno si scalda più con le sue opere. Dunque, il recupero teatrale di Mongelli – Negri è di alta scuola, sebbene ci rimane la mortificazione di dover contare una sola rappresentazione in un teatro robusto, come l’Abeliano di Bari.
“La cultura, nata dalla vita, uccide la vita!” declama Michel, per mano di Gide. Questa modesta e sfiorita battuta è molto adatta alle minchionerie del teatro italiano. Noi ci chiediamo perché un attore, con bravura durevole, ancora una volta si è assoggettato a uno stress tanto grande? Roberto Negri ha elevato ad arte un monologo picconato da difficilissimi passaggi filosofici, per duecento persone e basta. Poi condividerà con il prodigo regista Mimmo Mongelli la speranza che si riesca a fare qualche replica in un liceo o in una struttura alternativa ai circuiti presidiati dagli assessori delle feste patronali. In Italia, le compagnie ‘serie’ devono barcamenarsi in un mercato di cabarettisti che guadagnano troppo facilmente, dicendo cazzate.
[singlepic id=14 w=320 h=240 float=left]Roberto Negri ha una memoria disciplinata e una velocità di pronuncia sospinta. La sua mimica è accademica, varia, espressiva. Gesticola abbastanza, ma non troppo. Negri ha pienezza di voce con timbro albicante. Per realizzare la maschera non ha bisogno di travestimenti speciali (eppure questa volta indossava i bellissimi costumi disegnati da Tommaso Lagattolla). L’interpretazione drammaturgica complessiva è carnosa e sentimentale. Insomma, il suo ‘tutto è superiore alla somma delle parti’.
[singlepic id=15 w=320 h=240 float=left]Quando Roberto Negri potrà interpretare di nuovo L’immoralista? Schiumiamo il brodo. Da sempre, Il teatro è il servitore più fedele della vita. Esso ha un altissimo contenuto conoscitivo. Bisognerebbe salvarlo dal qualunquismo generato dalla televisione e dai politici più ignoranti d’Europa, che non si vedono mai in platea. Totò Onnis, straordinario pioniere dei palcoscenici meridionali, ha immaginato una elementare e geniale strategia. Bisognerebbe assegnare due ore di teatro nelle scuole primarie, come si fa (o si faceva) con la Religione e la Musica. Si darebbe una continuità lavorativa e previdenziale a tanti artisti disoccupati, ma soprattutto si creerebbe un pubblico competente che crescendo farà scoppiare di gioia i botteghini. Sbrighiamoci. Il teatro italiano sta ultimando la propria eutanasia, l’unica autorizzata in questa repubblica di Narcisi senza eco.