Maestro, ho da qualche minuto chiuso il suo romanzo intitolato “L’ultimo viaggio” da poco pubblicato da Giunti. L’ultimo, a quanto pare. O così ho letto sui giornali. Avrei potuto leggere la crime-story che ci ha regalato (cosa certamente inusuale per quello ci ha abituati a leggere) in due giorni al massimo. Non ci sono riuscito, e non perché me ne sia mancato il tempo. Non ho voluto terminarlo troppo presto, temendo che il suo “L’addio” potesse essere l’ultimo viaggio che avrei fatto con lei. Con le sue parole. Magra consolazione sarebbe l’unica certezza che mi resta: rileggere tutte le sue opere. Il dolore della probabile (auspico ardentemente in un ripensamento) separazione sarebbe insopportabile, esattamente come la fine di un grande amore o la perdita di una persona cara. Ci sono passato da entrambi, Maestro. Giusto perché lei lo sappia.
Un viaggio, dicevo, è stato immergersi nella lettura delle sue pagine. A fiato trattenuto. Turbolento e conturbante. Una storia immaginifica, il cui protagonista, «mi chiamo D’Arco e sono uno sbirro morto» (così si è presentato nella prima riga della prima pagina), mi ha trascinato in un mondo a metà tra il fumettistico “Sin City” e il poetico “Blade Runner”. E, spingendosi ancora più lontano, a quei fumosi noir in bianco e nero degli anni ’40, da “L’ombra del passato” a “Lo straniero”, passando per “Odio implacabile”. Mescolando il tutto con il Moresco-pensiero, fatto di quesiti tormentosi per tormentare.
L’espiazione del male, ad esempio. «Perché – ci rivela il protagonista dagli occhi bianchi (clara visio) – non si espia solo il male che si è inflitto, si espia anche il male che si è subito. E l’espiazione del male subito è la più terribile, la più lunga, la più dolorosa». Il concetto di male che in questo romanzo trova la giusta sintesi di quello già espresso nel mastodontico “Gli increati”. «Se la vita – si chiede D’Arco e ci fa chiedere – viene prima e la morte viene dopo, allora perché c’è tutto questo male nella vita? Com’è possibile se la vita viene prima? E il male allora da dove viene?».E ancora, il legame tra il male e la verità. Tra il male e la giustizia. Tra il delitto e il castigo. Simbiotico, assoluto e, purtroppo, senza via di fuga. «Viene prima il male o viene prima la verità? Viene prima il male o viene prima la giustizia? Viene prima il delitto o viene prima il castigo?». E soprattutto: «A cosa valgono la verità, la giustizia e il giudizio, se poi ci vuole il male per giustificarli a posteriori?».
Maestro, anche questa volta non ci ha fornito risposte, ma ha seminato ancora dubbi. Le sue parole sono silenzi che urlano disperatamente, dei vuoti che riempiono gli interstizi più profondi e fanno scricchiolare le già poche certezze. Parole che arrecano dolore e lasciano un retrogusto di amarezza. Indispensabile, però, a far sì che lei possa essere distinto da tutti gli altri scrittori e narratori. Lei è un “creatore di sentimenti”. E seppellire per sempre la sua penna, se per lei significherebbe ritornare al suo amato oltretomba, significherebbe anche lasciare allo sbando molti, come il sottoscritto, “orfani di parole”. Ci ripensi. La saluto con affetto e infinita stima.