“Il grande quaderno” è il primo romanzo della meravigliosa trilogia scritta dall’ungherese Ágota Kristóf dal titolo “Trilogia della città di K”. Un libro dalla scrittura, asciutta, scarna, spesso “gelida” nella sua crudezza e veramente efficace. Da questo primo romanzo il regista János Szász ne ha tratto un film uscito nelle sale italiane lo scorso agosto, a due anni di distanza dalla sua prima uscita: misteri della distribuzione italiota.
Fedelissimo alla trama del romanzo la sceneggiatura: tutto comincia con una madre costretta per via della guerra ad abbandonare i suoi figli, due gemelli, a sua madre che non vede da oltre vent’anni. S’intuisce che siamo in un paese dell’Est, sebbene non si fai mai il suo nome come non conosceremo mai quello dei piccoli protagonisti e della loro nonna, chiamata “la vecchia strega”. Una donna tremenda, sporca fuori e dentro, le cui vessazioni dovranno subire i due gemelli, due corpi e un’unica anima nera dall’intelligenza folgorante. Sono loro attraverso un quaderno lasciatogli dal padre a raccontare la Seconda Guerra Mondiale, giunta alle fasi finali, come una “metafora orrorifica”, fatta di disegni e di raccapriccianti immolazioni di piccoli animali. Guerra che lo spettatore percepirà attraverso gli occhi e i gesti dei due “piccoli demoni”, che da anime innocenti corrotte finiranno per diventare implacabili corruttori. E nulla sarà come prima.
Una storia immersa nella sublime fotografia di Christian Berger, già direttore della fotografia del maestro austriaco Michael Haneke e autore della fulgida meraviglia creata per il capolavoro “Il nastro bianco”. Luci naturali per illuminare il buio della guerra, paesaggi nudi e crudi come la perdita dell’innocenza dei due protagonisti a favore della sopravvivenza e il terrore che invade ogni singolo fotogramma della separazione, anticipata nelle prime sequenze e che avverrà giusto sul finale. Il regista ci regala così una favola noir, che chiaramente s’ispira al classico “Hänsel e Gretel”, forte di una sceneggiatura che ricalca alla perfezione lo stile dell’autrice del romanzo. «Una prosa – come ha scritto Giorgio Manganelli – che ha l’andatura di una marionetta omicida».