Àlex de la Iglesia lo avevamo adorato per i suoi geniali e dissacranti “La comunidad” e “Ballata dell’odio e dell’amore”. Originalità e provocazione i suoi marchi di fabbrica, che pur non mancano in questo ultimo “Le streghe son tornate” (e naturalmente non potevamo che porre l’accento sulla banalità dei distributori italiani, a fronte di un più esplicativo “Le streghe di Zugarramurdi”), uscito in Italia a fine aprile e “solo” con due anni di ritardo.
Un gruppo di banditi rapina un “Compro Oro” in piena Madrid. Una banda molto “sui generis”: un padre separato (Hugo Silva, visto in “Gli amanti passeggeri” di Almodovar), che trascina anche il suo bambino nell’assalto, perché “non trascorre tanto tempo con lui” e un ragazzo succube delle donne. Durante l’inseguimento, nella strepitosa sequenza iniziale, a loro si aggiunge un taxista, inizialmente preso in ostaggio con tanto di cliente a bordo. Lo strampalato gruppo tenta la fuga verso la Francia, inseguito dall’ex moglie del primo, che vuole riprendersi solo suo figlio, e due poliziotti che pedinano la donna per acciuffare i malviventi. Al confine attraversando un paesino, Zagarramurdi, noto per il suo legame con la stregoneria (qui fu messo al rogo realmente, nel 1610, un numero impressionante di “streghe”), i nostri hanno la sfortuna di incappare in un gruppo di fattucchiere. Le donne, nemmeno a dirlo sono più strampalate di loro, capeggiate da Graciana (fantastica come sempre, Carmen Maura) e con un piano preciso: usare il piccolo Sergio per un rituale che finalmente rivendicherà il sesso femminile contro il dilagante strapotere del “sesso forte”. Insomma le donne sono tutte streghe: quelle vere con tanto di poteri magici e quelle che non li hanno, ma riesco lo stesso “a tenere in pugno” i maschi usando l’arma del “terrore”. In questo film, però, non ci sono vincitori né vinti: entrambi i sessi ne escono derisi, con la saggezza e la causticità tipiche del cineasta basco.
Tanta “carne di generi” al fuoco: horror, commedia, thriller e fantasy, per un film che parte benissimo fin dai titoli di coda, con una carrellata di donne di potere e pertanto presunte “streghe” (da Eva alla Merkel), per proseguire con la mirabile scena iniziale della rapina (esilarante il protagonista vestito da Gesù Cristo, con tanto di corona e fucile a pompa al seguito) e dell’inseguimento. La pura essenza del cinema, dove la tecnica, fotografia e montaggio, diventa eccellenza. E non mancano le trovate geniali: la mostruosa dea madre con gigantesche tette traballanti e un’enorme bocca; oppure infilare tra le streghe che si sono date appuntamento al sabba, due travestiti (uno dei quali è il divertentissimo Carlo Areces, uno degli steward de “Gli amanti passeggeri”).
Eppure, tutto questo non basta a tenere in piedi, fino alla fine, la pellicola, che si attorciglia su se stessa perdendo la “perfidia apocalittica” che permea una buona parte delle scene, sfiorando il delirio ridicolo e quasi nonsense delle ultime sequenze. Che lasciano l’amaro in bocca allo spettatore, consapevole di aver assistito a qualcosa d’incompleto.