La sensazione che si ha dopo i primissimi minuti di “Lea”, il film per la televisione diretto dal cineasta milanese Marco Tullio Giordana, è quella di trovarsi a una memorabile interpretazione. Vanessa Scalera che interpreta il complesso ruolo della protagonista lascia il segno dopo solo poche sequenze: intensa, sempre misurata anche nelle manifestazioni più “popolane”, sanguigna in tutto il suo dolore e la sua rabbia. Paragonabile, con il dovuto rispetto, all’immensa Anna Magnani.
La storia, tristemente nota, è quella di Lea Garofalo, cresciuta in una famiglia di criminali, che s’innamora giovanissima di Carlo Crosco, criminale pure lui. Lea è però, suo malgrado, una mosca bianca: rifiuta quel genere di vita, sogna altro per sé e soprattutto per la figlia Denise, avuta proprio da Crosco. Per questo, dopo una serie di episodi violenti, fiutando il pericolo, Lea decide di collaborare con la giustizia: sarà la sua condanna a morte. Pur sottoposta al regime di protezione, è sempre scoperta e per questo costretta, assieme a sua figlia, a cambiare luogo, casa e vita. Quando la protezione le viene revocata, abbandonata e senza soldi, la sventurata protagonista è costretta a chiedere aiuto all’unica persona che non avrebbe voluto: il padre di Denise. Il quale, non avendo mai dimenticato e digerito lo “sgarro” che la donna ha osato fargli, alla fine riesce a portare a termine il suo disegno criminoso: uccide Lea, ne brucia i resti e li seppellisce sotto l’asfalto. Toccherà a Denise, diventata una ragazza, accusare e denunciare il padre e i suoi complici balordi: alla fine saranno tutti condannati all’ergastolo. I resti della povera Lea, nel frattempo ritrovati, potranno finalmente riposare in pace dopo le giuste esequie, volute dalla stessa Denise, non al suo paese natio, in Calabria, ma a Milano, nella città che l’ha vista morire in modo disumano.
Un disperato e urgente grido per chiedere giustizia quello di Lea prima, di Denise poi. Reso egregiamente da una sceneggiatura asciutta ed efficace, scritta a quattro mani da Monica Zapelli e dallo stesso regista Giordana. La mano del regista, che ricordiamo autore di pellicole importanti come “I cento passi”, “La meglio gioventù”, “Quando sei nato non puoi più nasconderti” e “Romanzo di una strage”, solo per citarne alcuni, è sempre la stessa: precisa e tagliente. E le ferite che riesce ad aprire sono destinate a bruciare per lungo tempo dopo i titoli di coda. Prediligendo il contenuto più che il contenitore.
Della bravura della protagonista, la mesagnese attrice Vanessa Scalera, ne abbiamo già parlato. Bravi e credibili tutti gli altri attori, tra questi Linda Caridi (Denise adulta), Alessio Praticò (Carlo), Roberta Caronia (Avvocatessa di Denise) e Stefano Scandaletti (Maresciallo dei Carabinieri). Il film è stato prodotto da Rai Fiction e sostenuto anche dall’Apulia Film Commission.
Nota di colore, il giorno dopo la messa in onda, lo scorso 18 ottobre, su alcuni giornali è rimbalzata la dichiarazione di Marisa Garofalo, sorella di Lea, che ha criticato il modo in cui è stata rappresentata. Come ha dichiarato, infatti, sul “Fatto Quotidiano”: «Lea è stata rappresentata malissimo, come una ragazza rozza, ma non era così, era molto signorile e parlava benissimo l’italiano. È stata rappresentata la mia famiglia – continua – in maniera vergognosa, ma hanno rappresentato molto bene l’associazione Libera e forse lo scopo era proprio questo». L’associazione di don Ciotti, secondo la donna, intralcerebbe anche ogni tentativo d’incontro con sua nipote Denise, che non vede da qualche tempo. Questa però è un’altra storia.