«Amor scortese – La satira in musica», lo spettacolo visto alcune sere fa in un polveroso garage nella periferia di Monopoli, in forma di secret show (una sorta di anteprima zero) avrebbe potuto intitolarsi tranquillamente «Bastardissimo me». Riccardo Boccuzzi, infatti, che ne è l’ideatore, autore, interprete e regista è davvero una brutta persona. Assolutamente adorabile. Un one man show per palati fini e stomaci forti, insomma per veri stronzi, tanto per capirci. Il ventinovenne monopolitano, autore e produttore di cartoni animati, film interattivi e videogames premiati in tutto il mondo, dall’Atlantico al Pacifico, qui alla sua prima prova teatrale, ha dimostrato di avere oltre che una bella voce (e due occhi azzurri che in televisione bucherebbero lo schermo, il che non guasta mai), di suonare il pianoforte divinamente e di tenere il palco per circa un’ora e mezza con consumata abilità. Nonostante il terrore della prima.
Per costruire questo spettacolo Boccuzzi ha dichiarato di essersi ispirato alla stand-up comedy, dove a esibirsi, è solitamente un solo attore, spesso in piedi (di qui il termine), quando non suona, abbattendo totalmente la quarta parete, citando, inoltre, come sue muse ispiratrici gli americani Lehrer e Minchin. A noi ha fatto venire in mente il sarcasmo intelligente di Woody Allen, la classe di Giorgio Gaber e l’umorismo nero di Daniele Luttazzi.
E proprio come in una stand-up comedy che si rispetti, gli argomenti oggetto di bersaglio sono stati la politica, la religione, la società, il sesso e, naturalmente l’amore. Quello scortese, ovvio, o come ha dichiarato lo stesso attore-autore: «l’amore spinoso, sboccato e vendicativo». Scordatevi dunque di trovare riferimenti a sentimentalismi vari, perché lo spettacolo è a bassissimo tasso glicemico. Anzi, preparatevi, perché l’anima dello show è la cattiveria più pura, dettata probabilmente più che a voler scandalizzare e offendere, dal disperato bisogno di comunicare. Un disagio, una preoccupazione, un timore. Una sofferenza, forse, che si cela nel suo bel sorriso a trentadue denti montato su una tenera faccia da schiaffi.
Di «Amor scortese» l’incipit è geniale. Basta già la prima canzone, dal titolo “Vaffanculo”, a far intuire immediatamente cosa ci si debba attendere: «Che siete venuti a fare? Andatevene via!», canta Boccuzzi. Quindi è subito amore. Sublimato di volta in volta in una voluttuosa boccata di fumo (“Sigaretta”), in un fiore (“Margherita”), in una bevuta per dimenticare (“Vodka”), in un atroce programma di cucina (“Masterchef”) o al disperato inseguimento di comporre la canzone perfetta (“Essenziale”). Difficile a quanto pare l’approccio sentimentale del nostro, dall’incomprensione iniziale di instaurarlo: lui le dice «ti amo» e lei risponde «tipo amoricizia?» (“Amoricizia”), passando alle giovani madri isteriche e frustrate (“Cassiopea”), fino alla trovata geniale di chiudere la sua ex, che pretendeva la più bella storia d’amore possibile, ed elencarle tutto ciò che lui ha fatto per rendere il suo sogno realtà: «mi hai detto che volevi un cane e un bambino, li ho presi entrambi al parco qui vicino. Mi hai detto che da quando è morta tua nonna, non esiste giorno in cui lei non ti manchi; chiudi gli occhi ho una sorpresa, ho preso una pala, apri gli occhi, nonna eccola qui! Mi hai detto che volevi i fuochi d’artificio; questa stanza è piena, manca meno di un minuto» (“Pazzo innamorato”, uno dei pezzi più riusciti). I problemi per il nostro simpatico nerd sono anche sessuali (“Eiaculazione precoce”) e di misure (“10 centimetri”), che per la sua ex, patita di crossfit, contano eccome! A nulla serve tentare la carta di piaceri alternativi (“CunnilinBlues”), quindi non resta altro che rassegnarsi al fatalismo (“Matematica della facilità”), perché «se è vero che la ruota gira, allora la felicità è un cerchio, quindi se uno sta vincendo un altro sta perdendo», prima o poi…
Per fortuna ci sono altre preoccupazioni, oltre all’amore. Ad esempio il teatrino della politica e le sue marionette, da Renzi a Salvini (“Ma perché non vai a lavorare”) alla plastificata Daniela (“Santanchè – gente sfigata”); la disoccupazione e il miraggio della pensione (“A fine mese”); oppure il fanatismo religioso (“Caro Dio”). A chiudere la performance, uno stupendo e struggente brano strumentale dal titolo “Orchidea”, che mette in luce tutta la maestria di Boccuzzi musicista. Nelle tante incursioni teatrali, l’attore ne ha per tutto e tutti: l’uso bulimico dei Social, la medicina alternativa e le diete, le grandi contraddizioni della Chiesa. Insomma tanta roba in questo recital, dove non c’è nulla da smussare poiché non esistono angoli, ma una raffica di pugni diretti alla coscienza dello spettatore, grazie a una satira intelligente e accurata, che chi è affetto da falso moralismo potrebbe scambiare per demenziale. Allora, la risposta più giusta ce la fornisce lo stesso Boccuzzi con il primo dei brani in scaletta, perfetta quadratura del cerchio: «Vaffanculo».