Un romanzo? No. Un saggio? Assolutamente. Allora, come si può definire questo volumetto che ho tra le mani e che ho appena terminato di leggere, dal titolo “La fisica dell’amore” scritto da Francesco Monteleone e pubblicato (grazie, grazie, grazie!) dalla coraggiosa e lungimirante casa editrice barese Les Flaneurs? Ci proviamo.
Un condensato di “tanta roba” in sole 128 pagine. Riflessioni e provocazioni sul “tema dei temi”, sul “sentimento principe” che pervade, volenti o nolenti, ogni cellula del nostro corpo, dalle epiteliali, attraversando quelle del tessuto osseo, fino a raggiungere le staminali del midollo osseo: l’Amore.
Rubo e riporto la definizione da Wikipedia: «Con la parola “amore” si può intendere un’ampia varietà di sentimenti e atteggiamenti differenti, che possono spaziare da una forma più generale di affetto sino a riferirsi a un forte sentimento che si esprime in attrazione interpersonale e attaccamento, una dedizione appassionata tra persone oppure, nel suo significato esteso, l’inclinazione profonda nei confronti di qualche cosa. Può anche essere una virtù umana che rappresenta la gentilezza e la compassione, la vicinanza disinteressata, la fedeltà e la preoccupazione benevola nei confronti di altri esseri viventi, ma anche il desiderare il bene di altre persone».
Sì, sti cazzi, aggiungo io! Sta a vedere che filosofi, scrittori, poeti, musicisti, da Platone (filosofo, ndr) a Rosario Bellassai (cantante neomelodico, ndr), hanno sprecato giornate intere a spremere meningi per esternare questo sentimento, che, invece, si può racchiudere in una sola, seppur esauriente, definizione? Non scherziamo! Ed ecco che ci viene in aiuto questo libro: una maniera “cazzuta” di afferrarci per mano e portarci in un viaggio lungo 2500 anni tra le “pieghe” e le “piaghe” di “Quello strano sentimento” (film del 1965 diretto da Richard Thorpe, ndr), senza fare sconti a nessuno. Dall’innamoramento alla separazione, tutto al modico prezzo di 10 euro (tanto costa il libro)!
Monteleone attinge a una bibliografia eccellente e a tratti curiosa: da Bacone a Barthes, da Brizendine a Campanella, da Cartesio a Catullo, da Cioran a Descartes, da Euripide a Iragaray, da Kierkegaard (che l’autore chiama affettuosamente Kirk, e già questo vale il prezzo di copertina!) a Nancy, da Ovidio a Pascal, da Galimberti alla Merini, da Platone a Rimbaud, da Sant’Agostino a Voltaire, da Schopenhauer a Sartre. E tanti altri ancora. La genialità del libro è che questo esercito, tra autori, studiosi e filosofi, “dialoga” amabilmente con chi scrive e il lettore con lui, seduto al tavolino del bar di piazza, a consumare un buon caffè o una gustosa cedrata. Un dialogo che, anche nelle parti più complesse (quelle tratte dai “pallosi” saggi, per capirci), diventa sorprendentemente immediato e di facile comprensione, anche per chi non ha avuto la fortuna (o sfortuna, a voi la scelta) di studiare la filosofia dei “massimi sistemi”.
Chi ha l’onore di conoscere l’autore non può non ritrovare tra le pagine di questo libellum tutta la sua sublime ironia, il suo sarcasmo “sporco”, tutta la sua arte della metafora “spicciola”, quasi “di strada”, nobilitata dal suo acume intellettuale e dalla sua spiazzante modestia. Un genio dell’allegoria che pagina dopo pagina strappa sorrisi a cuor leggero e che, non abbiamo dubbi, se avesse calpestato il legno polveroso di un palcoscenico avrebbe strappato scroscianti applausi a scena aperta.