Non vi può essere vera democrazia né vera libertà se non si dà alle strutture culturali la possibilità di agire nel sociale, non solo in un’ottica di consumo ma di reale coinvolgimento di tutta la popolazione. L’arte e lo spettacolo sono espressione del patrimonio culturale, la cui più ampia diffusione e democratizzazione appare non solo auspicabile ma anche necessaria per la rimozione delle disuguaglianze culturali, promuovendo la “civilizzazione”, oltre ad essere fattore di attrazione e motore di sviluppo per molti altri settori dell’economia.
Per questo, il ruolo del finanziamento pubblico alla Cultura che auspichiamo è quello di elaborare un’offerta culturale qualitativamente elevata, alternativa a quella degli “eventi”, tipici dell’industria del divertimento e dell’intrattenimento “di massa”, alla cui base esiste un’idea di “mercificazione” e di asservimento delle manifestazioni culturali – e in particolare dello spettacolo – ad una logica di massimo profitto e di un non meglio precisato “indotto turistico”.
Perché il territorio diventi attraente, infatti, è necessario “civilizzarlo” e curarlo costantemente, dotarlo di infrastrutture, di contenitori culturali funzionali e agibili, mettendo gli operatori del settore in grado di elaborare proposte e progetti innovativi e, soprattutto, originali.
Quindi, i primi destinatari delle politiche culturali devono essere i cittadini, insegnandogli ad amare il proprio territorio per renderlo “attraente” anche ai turisti. Un popolo rozzo, incolto, non consapevole della propria identità, costituirà sempre un freno potente allo sviluppo delle potenzialità turistico – economiche, cui si tende ad asservire il settore. L’unico modo di proiettarci su uno scenario internazionale è quello di valorizzare le migliori caratteristiche e tipicità della nostra “produzione”, ponendo attenzione alla pluralità dei linguaggi e delle espressioni culturali rintracciabili nel territorio stesso, promuovendone la visibilità attraverso tutti i mezzi di promozione possibile e connettendole con gli scenari internazionali.
Dal canto mio, ritengo che il primo passo da compiere da parte dei governi locali sarebbe quello di elaborare un “Piano strategico per la Cultura” in grado di individuare le caratteristiche e le vocazioni del territorio ponendo al centro, innanzitutto, la sua storia, le sue tradizioni, i suoi talenti, modulando l’offerta culturale con particolare attenzione anche alle aree periferiche e disagiate, onde evitare l’esclusione sociale di un gran numero di cittadini.
Un piano strategico, però, non è una semplice lista della spesa, né un libro dei sogni: richiede invece una costante concertazione, la stipula di una sorta di “patto” tra tutte le parti coinvolte in un percorso di sviluppo condivisibile e possibile, nel quale ritenersi impegnati, ognuno per la sua parte.
Una forte partecipazione diretta della comunità alla costruzione del “Piano” è la chiave di volta di un progetto che dovrebbe incanalare in una precisa direzione risorse umane ed economiche. Il confronto, anche conflittuale, dei valori e degli interessi di tutti, è necessario per un progetto capace di reggersi.
Per questo sarebbe indispensabile costituire un vero e proprio “tavolo permanente” di esperti impegnati nella diagnosi della situazione socioeconomica, urbanistica e ambientale del nostro territorio, coinvolgendo ricercatori in grado di elaborare i dati disponibili, e sviluppando ipotesi sulle tendenze e possibilità di medio – lungo termine. Fondamentale, poi, sarebbe la reale attivazione dell’Osservatorio regionale, istituito per legge dalla Regione Puglia e mai divenuto operativo per una precisa mancanza di volontà politica dell’amministrazione.
L’attenzione a questo importante settore della vita sociale – insieme alla capacità di individuare obiettivi condivisi da attori pubblici e privati per investimenti di lungo periodo – è lo strumento fondamentale e non può essere altro che il frutto di una “scelta politica”.
Solo con un tale piano di sviluppo ci si può rivolgere a un ampio pubblico nazionale e internazionale. In caso contrario, la fruizione culturale rimarrà sempre e soltanto un fatto episodico, legato a singoli eventi e al tempo libero, piuttosto che un dato costitutivo e identitario della popolazione pugliese. E sarebbe l’ennesima occasione perduta per essere protagonisti nella comunità europea e mondiale.