«La ferita risana. La cicatrice resta». Seneca scripsit, Federica eum cepit. Una lunga, intensa dichiarazione d’amore, oltre lo spazio, il tempo e soprattutto le convenzioni, questo primo romanzo di Federica Marangio, giornalista di San Pancrazio Salentino, pubblicato da Falco Editore e intitolato “La cicatrice – Mai dichiarare guerra all’amore”.
Un titolo che, però, potrebbe sembrare fuorviante. Perché nelle centosette pagine del romanzo, scritto con estrema sincerità e con tutte le acerbità dell’opera prima, non ci sono solo le appassionate dichiarazioni d’amore verso Lui (non sapremo mai, infatti, il nome di questo cavaliere dall’arma lucente), le riflessioni, ora appassionate ora amare, il sentimento, i ricordi di questo intenso rapporto che, nonostante abbia avuto, terminando, il suo naturale corso (in molti casi il rapporto tra due individui termina ma il legame d’amore no. Ci siamo passati tutti, cara autrice), è parte integrante della protagonista. Come una cicatrice, appunto.
In questo libro, dicevamo, c’è tanto altro. Ci sono le esperienze dei viaggi (veri) che la protagonista, Elettra-Federica ha compiuto per lavoro o per diletto lungo tutto il globo terrestre: dalla pittoresca Olanda alla multietnica Singapore, dall’evanescente e sognante Bali al misterioso Azerbaijan. C’è anche tanta Puglia, una serie di cartoline-omaggio spedite da una Terra a cui si è legati per sempre: la barocca Lecce, la caotica Bari, le affascinanti e romantiche costiere che dalla prima arrivano alla seconda, il divertente ZooSafari di Fasano.
Un omaggio al suo e al nostro bistrattato Sud, «terra che mette allegria», fatto di gente emigrante (come la protagonista) per la quale «il termine ‘scendere’ ha di gran lunga soppiantato ‘ritornare’, poiché è da sopra che lo studente/lavoratore deve raggiungere il sud. Si parla di ‘salire’ come se ci riferisse a un rientro faticoso, di doveri e sacrifici». E anche da qui, ci siamo passati in molti.
Ci sono le citazioni: da Aristotele a Steve Jobs, passando per Alessandro Manzoni o per la bellissima lettera di Seneca (ecco che ritorna) al suo amico e allievo Lucilio. Retaggio di studi scolastici approfonditi o di letture appassionate.
Il capitolo più sanguigno e accattivante è quello intitolato “Immaginando”. Qui si parla di famiglia, che «È parte di te, considerato il legame indissolubile con la propria terra»; del pranzo della domenica che «È un rito e l’odore del ragù ti accompagna nel percorso fino in chiesa». E proprio in queste pagine emerge, come il mitico faro di Alessandria, l’imponente figura di nonna Antonia, donna forte e tenera insieme e molto saggia (come solo le nonne sanno essere), cui il libro, non a caso, è dedicato.