Avete presente quando vi alzate da tavola dopo una classica cena di Natale che avvertite quella sensazione di pesantezza che al novanta per cento non vi farà dormire e che quasi certamente si presenterà anche il giorno dopo? Ebbene, è la stessa identica sensazione provata all’uscita dal cinema dopo aver visto “La cena di Natale” di Marco Ponti. E là dove la domanda è quasi sempre: «perché ho mangiato tanto?», qua è «chi me l’ha fatto fare di venire?».
Ma si sa, l’assassino ritorna sempre sul luogo del delitto, e dopo aver cassato il precedente episodio “Io che amo solo te” (diabolico averci riprovato, avete ragione), non si può che bocciare anche il sequel, che, addirittura lo batte in bruttezza. Non si salva nulla in questa pellicola, a parte la splendida Polignano a Mare. Nemmeno il brillante cast di attori reclutati (un vero spreco), da Michele Placido a Maria Pia Calzone, da Veronica Pivetti a Crescenza Guernieri, da Riccardo Scamarcio a Laura Chiatti a cui vorremmo urlare per tutti i novanta minuti del film: «Che cosa ci fate in questa pellicola?!? Venite via!». Magari avessero potuto farlo come ne “La rosa purpurea del Cairo” del vecchio Allen.
Sceneggiatura (ci si sono messi in tre a scriverla: lo stesso Ponti, Bianchini, autore del romanzo, che si concede anche una fugace apparizione nel film, manco Hitchcock, e Piero Bodrato) al limite del nauseante politically correct (tra gay che flirtano in libertà, trans invitate all’elegante banchetto e la bellissima lesbo-modella, che resta incinta del migliore amico omosessuale e che fa la dichiarazione d’amore alla sua compagna nel bel mezzo della cena), con incursioni pseudo comiche (nemmeno un sorriso, parola di scout!) manco fossimo in un film del ladruncolo er Monnezza e del suo fido Venticello e che battono, se possibile, la raffica di idiozie dei cinepanettoni (che stavolta viene servito a tavola) che, immancabili, stanno per assalire gli schermi cinematografici. Su tutte, lo “smadonnamento” di zio Franco (Antonio Gerardi) davanti alla caserma e il supermega rutto di Daniela (interpretata da Eva Riccobono: una campionessa, insomma) seguita dalla frase, che citiamo pedissequamente: «Ho vinto la gara di rutti al Festival della Fica a Copenhagen». A futura memoria.
Il film appena uscito nelle sale italiane, e che non dubitiamo replicherà il buon successo commerciale del primo episodio, ha già ricevuto una pioggia (condivisibile) di stroncature, che a leggerle divertono più della pellicola stessa. «Quante volgarità sulla tavola», titola Massimo Bertarelli su “Il Giornale”, concludendo con un «prenotato per l’Oscar della finezza»; «Il cinepanettone dal gusto amaro» è invece il titolo di Silvio Danese del Quotidiano Nazionale, definendo il film «solita commediola ecumenica che spinge dalla finestra del cinema ciò che non passa dalla porta televisiva». E vi abbiamo riservato il meglio. Insomma, questa cena di Natale sta a “Parenti Serpenti” di Mario Monicelli (con il quale condivide la situazione) come la distanza tra la Terra e la galassia EGS-zs8-1: siderale.