Laerte è un violinista classico; vive e resiste tra le smagliature di Sao Paolo del Brasile, dove la miseria si oppone all’ indulgenza. Laerte si esercita, studia, ha talento straordinario; otrebbe far fortuna, perché sa creare emozioni, invece abbandona se stesso in un lato del mondo civile, sprofondando nel giustificato insuccesso. Il destino però gli assegna altro compito; lo fa ritornare in un mondo più primitivo, ma più umano. Laerte finisce nel barrio di Heliopolis, un agglomerato tra i più grandi di tutto il Brasile, per insegnare musica ai ragazzi in attesa di soccorso sociale…
Passati pochi minuti dall’inizio, questo film prende un’ energia narrativa straordinaria che non vi lascia più, fino alla fine. La favela brasiliana è una tomba aperta nella quale sono costretti a vivere i più poveri, che sono tenuti a distanza dalla polizia, come animali malati. Ma la natura non produce solo inetti. Tra i poveri e gli ignoranti crescono anche quelli forti e ribelli, che sono sollecitati da capi con le corone insanguinate a diventare delinquenti, perché l’avere conta più dell’essere e l’essere conta meno dell’apparire.
L’area metropolitana di Sao Paolo è la piu grande di tutto il sud America, circa 21 milioni di abitanti. In quella vastissima ombra sociale dove si ammassano pregevoli assassini, un virtuoso del violino con la pelle nera che porta abbondanti dosi di Mozart e Bach ai ragazzi è uno strumento di curruzione, non di educazione. Ma la musica è come l’acqua, se la mettete sul fuoco diventa bollente e purifica tutto. Infatti in quello scenario di pace precaria e vendetta perpetua succede una cosa straordinaria. Nel salotto della favela (il centro sociale recintato) un gruppo di ragazzi e ragazze intuiscono che Dio è uno snob, ama la bellezza ed è proprio con l’armonia, con la bellezza musicale che si mettono in relazione con lui.
Saremmo peggio dei rapinatori se dovessimo elencarvi qui dentro tutte le ispirate sequenze del film.
Il regista Sérgio Machado è uno sperimentatore di sogni ad occhi aperti. Ha diretto un protagonista indigeno (Lázaro Ramos!!!) che non sa nemmeno giocare a calcio verso la più importante orchestra sinfonica del sud America, dimostrando che la musica classica non è il modo di rivivere i fasti del tempo passato, ma uno strumento di civilizzazione.
Tra gli spettatori in sala vediamo un cantante lirico e un direttore d’orchestra: sono due famosi baresi cazzuti che conoscono bene la gravità degli equivoci e dei pregiudizi culturali. La visione di questa opera sentimentale li ha impoveriti di parole, ma negli occhi c’è l’elogio finale. Il film è una storia che meritava di essere raccontata. Non la cocaina, la musica è una botta di felicità.