(di Francesco Monteleone)
Scritto e diretto da Giovanni Gentile. Protagonista Antonella Carone. Musicisti: Marco Boccia (contrabbasso), Vito Liturri (pianoforte).
Helene è una giovane cantante di piano bar che ogni giorno deve porre un rimedio ai pericoli e alla precarietà della sua vita, anche offrendosi in possesso temporaneo a un ‘benefattore’. Ha una luminosa carnagione, due seni allacciati al torace come stemmi gentilizi del cuore, le cosce levigate che resistono al peso di fianchi calibrati per il piacere. Helene si esibisce a Berlino, a 22 anni, quando Hitler inizia a svenare le nazioni d’Europa. In quella cupa atmosfera, Helene incontra Miryam, una donna di indiscutibile talento artistico, alla quale si offre interamente, con grazia e favore. La capitale prussiana sta diventando diventa la corte imperiale dove buffoni, menestrelli, artisti, puttane devono far divertire i gerarchi che stanno scatenando la pazzesca offensiva criminale. Le due amiche piacciono agli occhi dei signori della guerra, ma Miryam è ebrea. Con le leggi razziali viene internata e la sua anima inizia a bruciare lentamente nello spietato e insensato olocausto. Helene non la dimentica mai e quando i russi liberano i superstiti dai campi di sterminio, prova a ritrovarla, ma Myriam si è dileguata fuori dei confini del dolore. L’unico modo per non perderla è raccontare la storia del suo sacrificio, sul palcoscenico. Helene, che è diventata una testimone del terribile corso della guerra, che si è fatta fare a pezzi dai suoi connazionali, ora ha la forza di avanzare con audacia contro i violenti di ogni specie. Il suo punto di vista è musicale, ha come uditorio il pubblico, ma la pietà e la misericordia le danno un irresistibile impulso a cantare il martirio di Miryam, ricomponendo ogni brandello della sua anima sul pentagramma di splendide canzoni.
Il soggetto teatrale scelto da Giovanni Gentile, per salvare qualcosa all’interno del disastro assoluto provocato dal nazismo, è una tenera storia d’amore saffico. Diciamo che questa ricognizione drammaturgica ingrossa il fumo della collera, ma non ripara le rotture, né può rialzare le rovine. “Io e Miryam” è una messa in scena musicale virtuosa di un periodo storico nefasto, ma ci sembra fragile ideologicamente. Le parti testuali sono ingenue, descrittive, poco problematiche per lo spirito ebraico che è ancora in cerca di riposo. Eppure il risultato estetico finale è di buon livello. Giovanni Gentile si è apparentato a due musicisti che sanno dare penetranti e convincenti significati ai suoni dei loro rispettivi strumenti: Marco Boccia (contrabbasso), Vito Liturri (pianoforte). È con loro che l’autore realizza questo ibrido di tragedia cantata nella quale riesce abilmente a sbloccare l’impasse emotivo con Antonella Carone, un’attrice entusiasmante, intelligente, istruita, seria, ben educata, fisicamente deliziosa. In questa pièce Antonella affronta due grandi difficoltà interpretative, con abnegazione e siccome il pubblico non è fesso, alla fine della recita gli applausi più scroscianti si riferiscono al suo ben visibile valore. La prima difficoltà è il canto. I pezzi scelti in inglese e tedesco sono roba da giganti. Antonella è un’attrice che canta; la sua voce coraggiosa e combattiva progredisce fino al limite naturale, senza superarlo. Antonella è un’attrice che balla, senza essere in possesso delle meticolose facoltà di una ballerina; eppure non scivola dai tacchi, né perde l’equilibrio sopra una sedia di cucina. Antonella si sveste e si riveste elegantemente in un angolo d’ombra, mostrando un corpo chiuso in un inquietante pudore. E quando si congeda con due grosse lacrime che le sciolgono il trucco, abbiamo la sensazione che ella pianga per davvero per una diletta amica e per la smarrita Germania. L’ultima parte di questo spettacolo è una geniale intuizione registica. Con la voce svuotata dalla vergogna l’ottima protagonista scandisce il numero dei morti di tutte le guerre, mentre il contrabbasso la accompagna con una straziante melodia funebre. La sua è, ancora una volta, una dimostrazione di rara bravura della quale non si fa mai vanto quando è fuori scena, anzi il suo orgoglio femminile è sempre moderato da un gran senso di humour.
La compagnia ‘Teatro Prisma’ (che sorprendentemente è ancora iscritta alla FITA) continuerà a produrre spettacoli di qualità. Invece la signorina Carone verranno a prendersela e la porteranno più in alto, lì dove gli artisti ottengono rispetto.