Quante lingue ci sono in Europa? Il multilinguismo è una ricchezza o una complicazione? Democrazia e unità linguistica vanno a braccetto?
Sono tutte riflessioni di grande interesse, a cui il linguista Tullio De Mauro prova a dare una risposta nel suo saggio “In Europa son già 103”, edito da Laterza. Un opuscolo agile, che può essere letto piacevolmente anche dai non addetti ai lavori e che fa crollare d’improvviso vecchi pregiudizi, accendendo nei lettori alcune curiosità.
L’argomentazione di De Mauro parte da Aristotele. Affinché una comunità viva in modo democratico, i cittadini hanno bisogno di convergere verso una lingua comune per discutere e confrontarsi. Il multilinguismo, da sempre, è stato ammesso solo negli Stati non democratici.
Ma convergere verso un’unica lingua significa cancellare le altre? Lo studioso italiano, sposando la teoria di una socio-linguista americana, esclude questa possibilità e ci consola. A quanto pare, nella nostra testa l’acquisizione di una lingua non ci fa dimenticare le altre. “Noi in Italia lo sappiamo bene”, spiega De Mauro, “lo abbiamo sperimentato direttamente. Quando abbiamo imparato a convergere verso la lingua italiana, non abbiamo perduto l’uso dei dialetti”.
Quale prospettiva si presenta, dunque, per l’Unione Europea? Le lingue sono 103. Troppe. Per Tullio De Mauro, se vogliamo arrivare a realizzare il sogno dei padri fondatori e, quindi, fare dell’Unione Europea una grande comunità democratica, è necessario che da Stoccolma ad Agrigento e da Kaunas a Madrid si parli una lingua comune. Senza per questo annunciare, quasi apocalitticamente, la scomparsa del multilinguismo europeo.
Va da sé, ovviamente, che il candidato più forte a diventare lingua unica sia l’inglese, almeno per due motivi. Innanzitutto, gran parte della popolazione europea ritiene di parlare bene questa lingua e di potervi sostenere una conversazione. In secondo luogo -e, qui, questo saggio vi sorprenderà- pare che l’inglese sia la più latina delle lingue europee, oltre quelle derivate direttamente dal latino. “Il fondo germanico dell’inglese è compresso al 10 % del suo vocabolario”, dichiara De Mauro, “la parte restante deriva dal latino, dal francese e, addirittura, dall’italiano. Si tratta, ormai, di una lingua neo-latinizzata”.