La città di Liegi ospita Pippo Delbono almeno una volta all’anno. L’attore e regista italiano parla perfettamente francese e la sua presenza all’estero continua a essere un avvenimento al quale accorrono centinaia di appassionati.
Domenica 8 novembre, la sala 1 del cinema Churchill era strapiena di spettatori attratti dalla proiezione del film “Il Sangue”, a cui il regista ha presenziato con il suo solito atteggiamento dirompente.
Che “Il Sangue” sarebbe stato un lavoro atipico se lo aspettavamo tutti, dunque. Al cinema e a teatro, Pippo ci ha più volte dato prova della sua “anarchia” artistica, con la quale ama scompigliare ogni ordine precostituito. Ma questa sperimentazione cinematografica va persino “oltre”: è scavante nella sua crudezza, eppure si esce dalla sala con una inspiegabile sensazione di dolcezza e poeticità.
Il film è stato girato con una piccola telecamera (come tutti i film di Delbono) e porta sul grande schermo la vita vera, colta nei suoi aspetti più amari e senza filtri. Tre sono i protagonisti, in apparenza senza alcun legame tra loro: l’Aquila dopo il terremoto, la madre di Delbono (filmata con durezza negli istanti di agonia che precedono la sua morte) e il brigatista Giovanni Serzani, divenuto grande amico di Pippo e a cui il regista ha voluto dar voce in maniera alquanto provocatoria.
Tre storie “particulari”, quindi, che qui vengono sublimate fino ad assumere valore universale. L’Aquila non è altro che il simbolo del “crollo” di tutte le promesse; la morte della madre di Pippo diventa la morte della “Madre”; la storia di Serzani è la fine inesorabile di una -distorta- ideologia.
È la morte, pertanto, l’oggetto di interesse di Delbono in questo suo lavoro. Una morte che non rappresenta la fine di tutte le cose, ma è l’inizio della vita. È poesia, bellezza e amore, perfettamente in linea con la fede buddista a cui il regista ha aderito e con una concezione dell’eterno ritorno del tempo.
“Ho un’altra idea di cinema”, ha dichiarato Pippo al termine della proiezione, “il cinema deve restare sull’estremo e sull’eccezionale. Girare con un telefonino significa dimostrare che l’esperienza della vita ti prende e diventa più grande di te, che la verità e la vita sono sempre più grandi di qualsiasi sceneggiatura. Nel caso della morte di mia madre, un evento eccezionale si stava svolgendo sotto i miei occhi e non c’era la possibilità di chiamare una troupe per dire: Correte, qualcosa di grande sta accadendo”.
Poi, ha così spiegato la sua conoscenza con Serzani, ex capo dei brigatisti: “Una volta, Giovanni è venuto a vedere un mio spettacolo e ha voluto conoscermi. È stato lui che mi ha cercato. In Italia è sempre stato considerato un mostro e gli era stata negata ogni possibilità di parola, perché era il responsabile di tutto ciò che era accaduto in quel periodo, punto. Ma le cose sono sempre più complesse di quello che sembrano, è una questione di punti di vista. Noi abbiamo questa straordinaria possibilità, cambiare il punto di vista delle cose. Anche della morte”.