L’ultimo lavoro letterario del giornalista Franco Lisi e appena pubblicato da Faso Editrice è a suo modo un libellum prezioso. Intanto per averci restituito un pezzettino di antica memoria che magari non avrà cambiato le sorti della Storia, poi perché narra con stile scorrevole una piccola storia del Sud, accaduta nell’immediato secondo dopoguerra, che ha molti sviluppi drammatici: una storia di pregiudizi da parte della maggioranza conservatrice nei confronti della minoranza più aperta ai cambiamenti, al “modernismo”. Eppure Franco Lisi, per chi conosce i suoi scritti, riesce sempre a infarcire la trama con gustose incursioni “dialettali” e immagini divertenti che alleggeriscono piacevolmente la pur triste vicenda.
Lisi ha voluto narrare la vera storia di un piccolo grande parroco di provincia, don Pietro Trisciuzzi, definito nell’incipit «umile con gli umili, ma insolente con i potenti. (…) Non era disubbidiente, era semplicemente don Pietro». Nato a Fasano nel 1913, dopo aver palesato la sua vocazione per il sacerdozio, è nominato parroco nel 1926. Subito dopo la svolta: la decisione di istituire una nuova parrocchia nel quartiere più povero della cittadina. Per farlo, però, come da regole dell’epoca, c’è bisogno del così detto “beneficio”, una dote insomma, che è portata dallo stesso don Pietro e che consiste in tre immobili di sua proprietà.
Una di queste si appresta a diventare, per una brillante intuizione dello stesso, un cinema parrocchiale e non solo, il “Serafico”. Ma la realizzazione, tra ristrutturazione, macchinari e permessi, non è semplice, eppure il cinema sarà inaugurato il 15 febbraio 1948. Primo film proiettato fu “Il conquistatore del Messico” diretto nel 1939 dal tedesco Dieterle cui seguì il più celebre “Per chi suona la campana” con Gary Cooper e Ingrid Bergman (gustosa la scena del bacio “alla Cinema Paradiso”).
Enorme il successo tra i parrocchiani e la popolazione: don Pietro diventa il loro mito. Per mantenere la gestione del cinema, però, le difficoltà economiche crescono come l’erbaccia infestante. Arrivano i primi debiti e le prime segnalazioni alla Curia per comportamenti scorretti, che costringeranno a intimidazioni di chiusura. Quando poi si dice, “piove sul bagnato”, il nostro sventurato protagonista diventa bersaglio delle malelingue perbeniste che lo accusano di proiettare addirittura “film scandalosi”! Per inciso si tratta del film “La signora delle camelie”, ma non dimentichiamoci che siamo negli anni cinquanta. Per don Pietro giunge inaspettata la “sospensione a divinis”, una punizione troppo severa che getterà il parroco nella desolazione e a essere condannato all’isolamento da parte dei suoi parrocchiani e compaesani. Ciliegina sulla torta il trasferimento in un’altra diocesi, quella di Locorotondo, in una piccola sperduta frazione nella valle d’Itria, San Marco.
Qui, però, il caparbio don Pietro avrà la sua rinascita e il suo riscatto: si rimbocca le maniche e sistema prima la vecchia chiesa, poi crea un nuovo gruppo di “azione cattolica”, istituisce la “messa beat”, introducendo le chitarre elettriche e la batteria durante le funzioni, sviluppa attività culturali tra teatro e cinema. In questo fermento nasce l’idea ambiziosa di costruire addirittura una nuova chiesa, il cui fiore all’occhiello è la cupola a forma di trullo. E, indoviniamo? Ci riuscirà a costo di altri sacrifici economici e fisici (don Pietro è anche malato) che lo porteranno però alla fine dei suoi giorni. Morirà in totale povertà il 12 maggio 1977. I suoi resti oggi riposano, giustamente, nella chiesa da lui creata, dove è stato posto anche un busto a sua immagine sotto il campanile. Inoltre i cittadini di Locorotondo gli hanno pure dedicato una strada. E la sua Fasano? Lisi si domanda se sia stata ingrata o forse soltanto disattenta e lancia un monito: il detto “Nemo propheta in patria” sarà sempre di moda.