(di Carmela Moretti)
La bellezza del libro “E’ la felicità, prof?” del docente e giornalista barese Giancarlo Visitilli sta nella sua semplicità. E lo sa bene persino lo stesso autore, quando confessa con ingenuità bambina di essere sorpreso da cotanto clamore, poiché egli ha raccontato solo “ciò che è sotto gli occhi di tutti”. Ma forse, è proprio questa capacità di riportare storie di normale quotidianità, unitamente a una narrazione leggera e fluida, il segreto delle duecento e oltre presentazioni in tutta Italia. E pare che anche papa Francesco, tra un’udienza e un Padrenostro, si sia dilettato con questa lettura e si sia complimentato con l’autore per aver messo in risalto il valore missionario della scuola.
Giancarlo è un professore sui generis, uno di quei pochi docenti che ha ancora ben tatuato sul cuore l’insegnamento di Pino Puglisi e Don Milani: la scuola non sia come “un ospedale che cura i sani e respinge i malati”. Al punto tale che anche la sua stessa preside lo definisce “un professore birichino, ma magari ce ne fossero tanti come lui!”.
Siamo all’inizio dell’anno scolastico e il docente si presenta con abbigliamento casual in una scuola del borgo antico di Bari; una zona considerata a rischio da quella schiera di “insegnanti-cercatori di comodità” che la scansano peggio della peste. E, invece, agli occhi di Giancarlo si presenta una classe certamente difficile, ma anche variegata e stimolante.
Saverio è uno “che sa il fatto suo”, non studia ma ha una bella testa. Michele è un ragazzo autistico. Floriana vuole fare la giornalista. Valentina, dopo aver lottato contro l’anoressia, riscopre la “fame di vivere”. Eppoi c’è Giulia, che fa l’amore per la prima volta su una Vespa e resta prematuramente incinta.
Così, l’autore ci conduce con tenerezza nelle vite di questi ragazzi e in un anno scolastico ricco di poesie, scambi epistolari, sogni confessati e dolori taciuti, passando per lo scompiglio del primo quadrimestre e gli esami di maturità così tanto temuti. Particolarmente piacevoli, per esempio, sono l’episodio della giornata trascorsa al Bifest e il pic-nic della Pasquetta.
Ma in tutto questo, dov’è la felicità? È la domanda che i ragazzi rivolgono ogni giorno agli adulti con la loro ribellione, indifferenza o aggressività. E la scuola, continua a restare sorda al loro grido come una “povera vecchia che non si intende più di nulla”.
“Gentilissimo ministro della Scuola,
[…] noi studenti abbiamo bisogno di attenzione, di rispetto, di ritornare a una scuola in cui si possano trovare tante persone capaci di ascoltarci, di dedicarsi a noi, di farci piangere e ridere. Insomma, di farci stare bene”.