FIGARO! FIGARO! FIGAROOO!..Chi di noi, nelle più insolite circostanze, non ha gridato, invocato, citato, cantato ecc. questo nome comune di persona senza preoccuparsi di saperne l’etimo (cioè la storia della parola stessa). Come insegnano gli accademici ogni italiano di cultura media gestisce, per farsi capire dai suoi simili, 4-5 mila vocaboli, ma certamente non ne studia l’origine e, molto spesso, l’autentico significato. Si parla nella maggior parte dei casi per inerzia, avendo adottato da bambini quei suoni che, nel tempo, impariamo a disporre sintatticamente per costruire nuove frasi da comunicare.
Per chi vi scrive, il figaro è sempre stato il sinonimo più raffinato di barbiere (e in realtà lo è). Dico meglio; credevo fermamente che fosse l’antico nome di un artigiano che, nei secoli dei secoli, ha fatto la barba a tutti. Nella maturità, “Figaro” mi è servito per memorizzare le arie più briose del “Barbiere di Siviglia”. E, in seguito, seguendo l’insegnamento di dotti musicologi, mi sono avvicinato alle “Nozze di Figaro” di Mozart per canticchiare il “farfallone amoroso”. Infine, dopo aver intrapreso la carriera (sic!) di giornalista professionista ho preso a sfogliare “Le Figaro”, il quotidiano francese più antico, per allenarmi alla prima lingua straniera che ci era stata imposta alle vecchie “Scuole medie”.
Insomma, la parola ‘figaro’ l’ho sempre usata a strascico, ma un giorno ho voluto approfondire e dalle enciclopedie ho appreso che in Spagna “figaro” è una giacca corta simile al bolerino femminile che dovrebbe essere stata usata, come essenziale indumento di lavoro, dai barbieri.
La spiegazione mi è bastata lungamente, fino a quando un bel giorno sono capitato in una biblioteca piena di vecchi libri e giornali e lì c’è stato un altro giro di boa. Sotto gli occhi è capitata una piccola biografia di Beaumarchais, il leggendario scrittore che ha consegnato alla letteratura universale la trilogia de “Il barbiere di Siviglia” (1775), “Le nozze di Figaro” (1784), “La madre colpevole” (1792) della quale ora vi dirò brevemente.
Beaumarchais ebbe una vita pazzesca, che ci vorrebbero 100 pagine per narrarla. Si vantava di essere nobile e per questo si era dato quel suo nome altisonante. In realtà si chiamava Pierre Augustin Caron ed era figlio di un orologiaio abbastanza conosciuto a Parigi, André Caron. Pierre nacque nel maggio del 1732 e ora riposa in pace, chissà dove, ma è sempre un mito per tantissimi artisti di ogni angolo di mondo. Qualche critico che ha studiato a fondo la poetica di Beaumarchais dice che il simpaticissimo figaro che combina o scombina fidanzamenti e matrimoni nelle entusiasmanti opere liriche di Rossini e Mozart rappresenta idealmente quel che Beaumarchais avrebbe voluto essere nella vita. (Ma noi ci permettiamo di dire che il Barbiere di Siviglia è poca cosa rispetto al suo autore). Perché? Quel parigino tanto irrequieto fu un geniaccio in ongi momento della sua transizione sulla terra: da piccolo inventò un meccanismo per orologi che porta ancora il suo nome. Diventò musicista e commediografo (mediocre) e, questo è importante, volle disciplinare i rapporti di interesse tra scrittori e attori. Praticamente fu il precursore della SIAE di Mogol e Gino Paoli. Beaumarchais fece grandi affari, fu messo in carcere per debiti, fornì armi a due gruppi rivoluzionari, stampò l’edizione completa delle opere di Voltaire e non avendo i divertimenti degli aristocratici (caccia, sesso, giochi di potere ecc.), nel 1771 scrisse J’aime le teatre a la folie , io amo il teatro follemente. Il suo Figaro fece la sua prima apparizione alla Comédie Francaise nel Barbier de Seville quando Beaumarchais aveva 40 anni. (Ma la prima uscita fu un fiasco clamoroso). Beaumarchais morì a 67 anni, senza ricchezze e senza soffrire, nel maggio del 1799. Si addormentò e non si risveglio mai più, ma non ci manca mai. Le note del Mariage de Figaro scritte da Mozart lo hanno reso immortale.
E ora sveliamo il mistero dell’etimo: Figaro fu il nomignolo che il figlio di Caron immaginò per il suo alter ego. Pensateci: “figlio di Caron” in francese si dice le fils Caron e si pronuncia “le fi-Caron”; da “fi-Caron” a “figaro” non c’è molta distanza. Altro che il bolero di un barbiere!
Cosi crediamo di aver svelato la vera origine di un nomignolo che ci fa tanto divertire nei migliori teatri lirici. E se qualche impresario o direttore artistico ha letto fin qui, si impegni a rappresentare ancora il trascurato “Barbiere di Siviglia” composto da Paisiello. Noi siamo meridionali orgogliosi; Giovanni Paisiello nacque a Taranto, morì a Napoli e fu anch’egli un gigante, come il vecchio Beaumarchais.