Non sapendo la trama del film si rimane molto sorpresi, vedendo che alla proiezione dell’ultimo film dell’imprevedibile Anderson arrivano decine di belle donne (più che donne belle) cioè tutte tirate a lucido con messe in piega costose, culi rialzati da tacchi spericolati e abiti presi in boutique esclusive.
Abbiamo sbagliato sala? C’è un’altra sfumatura di colore che è stata erotizzata? Possibile che il regista di ‘Magnolia’ ‘ Ubriaco d’amore’ ecc. raccolga un target così alto e fondamentalmente snob?
Dopo i primi minuti tutto si chiarisce. Ogni dieci anni qualcuno produce in America un film sulla moda e sugli stilisti, quasi sempre di buona qualità. Le donne, che si sentono corpi da rivestire e non da denudare, corrono vederlo.
E per i maschi?
Passata la notte, mettiamo per iscritto l’esperienza in sala cinematografica. È stato troppo impegnativo (e moderatamente noioso) sentirsi per due 0re in sartoria (si dice maison) a spiare come si impone nel mondo della moda il londinese Reynolds Woodcock. Lo stilista interpretato da Daniel Day-Lewis (che fa una bella figura) è un artigiano geniale con tessuti, pizzi e merletti, ma pieno di nevrosi, ossessioni e complessi psicologici. Difficile innamorarsi di lui, difficilissimo vivergli accanto.
Così il film diventa ‘drammatico’ per gli spettatori, che hanno 3 possibilità di immedesimarsi:
1) in un personaggio di grande prestigio sociale, un vip ammirato da decine di donne svenevoli, ma senza amici maschi, che si proibisce all’amore.
2) Nella cameriera Alma (Vicky Krieps) che grazie alla sua intelligenza variabile e un corpo piacevolmente difettato, fa un balzo in avanti pazzesco, passando da un pub periferico alla principessa d’Inghilterra.
3) Cyril Woodcock (Lesley Manville) una sorella affabile, aggraziata, ma cinica e circospetta con le pretendenti del fratello.
La verità è che noi, povere anime semplici, ci aspettiamo dai geni una vita privata altrettanto geniale. La storia ci insegna che non è così e Anderson lo conferma in questo suo ultimo racconto per immagini. Il suo impagabile sarto è uno zitellone con poche voglie sessuali, goloso solamente di banalissime frittate, devoto alla madre morta e costantemente impegnato in società a distinguersi dal Kitsch.
Il problema è che tra un artista e le sue opere ci interessano le opere. Tutti siamo pieni di difetti; ciò che ci distingue dagli altri esseri umani sono le virtù. Se Reynolds Woodcock preferisce il bacon e non il burro, se ha la diarrea o vomita per una intossicazione, se è geloso o dispettoso in famiglia ci frega poco.
La colonna sonora del film è stata composta da Jonny Greenwood, e non è niente di speciale. I costumi e le scenografie sono gioia per gli occhi, senza risultare falsi. I dialoghi favoriscono una forte e divertente competizione intellettuale tra generi.
La morale di “Phantom Thread”? È importante sapere quando smettere di darsi le arie.
Voto finale: 8. Soldi spesi bene.