“La prima vittima della guerra è la verità” leggiamo in una didascalia all’inizio del film Eye in the Sky (titolo originale). La citazione classica del tragediografo Eschilo è stranamente l’unica cosa inadatta a introdurre questa ottima drammatizzazione cinematografica che per tutto il tempo a disposizione cerca ostinatamente di svelarci le verità che stanno dietro al terrorismo islamico.
In filosofia per avvicinarsi alla verità sono necessarie sincerità, precisione e completezza. Ebbene questo film, pur essendo una fiction che deve tenere alta l’attenzione del pubblico con la suspense, è una descrizione molto, molto verosimile di quel che accade in questi maledetti anni traviati da stragi e massacri.
La locazione scelta dal regista Gavin Hood è in Kenia, dove i guai grossi sono determinati dalla presenza di Al Shaabab (una fazione di fondamentalisti che proprio mentre stiamo scrivendo ha compiuto l’ennesima infamia nel Corno d’Africa). Militari inglesi e americani intervengono, con armi sofisticatissime, per catturare due ricercati internazionali e durante l’operazione scoprono che essi stanno per realizzare un gigantesco attentato dinamitardo contro i civili.
La regia merita un voto alto, perché non dà il solito asfissiante gioco di effetti speciali fanciulleschi. Gli attori, tutti con facce equilibrate e non da catalogo, puntano la loro bravura sull’ imitazione sobria di quel che presumibilmente accade nelle stanze segrete del potere.
Eppoi, è confortante la ‘flessibilità buona’ di soldati che pur dovendo eseguire ordini micidiali, affrontano con coraggio e intelligenza la situazione criticissima.
Cosa riusciamo a pensare di fronte a tanto show? Che i politici sono codardi perché devono pensare agli effetti elettorali delle loro decisioni; che i bambini più sfortunati crescono in Stati dominati da pesanti conflitti ideologici; che i militari puntano gli obiettivi, tralasciando troppo superficialmente i danni collaterali ai civili. Che noi esseri umani non costruiremo, con lungimiranza, il futuro del nostro mondo fino a quando non risponderemo a un’unica domanda: chi dà le armi ai terroristi?
Hellen Mirren (il colonnello Powell) è perfetta nella recitazione, ma il suo personaggio è portatore di dolore. Una donna militare così risoluta ci auguriamo che non esista mai da nessuna parte del mondo. Storicamente le guerre sono state volute dagli uomini che per natura hanno una coscienza corrotta dalla violenza, le donne sono le sorgenti e il nutrimento della vita stessa. Vederne una vestita in abiti marziali e così cinica nel combattimento certamente non rafforza la nostra speranza di vivere in un futuro migliore.
Alan Rickman (il generale Benson) è morto da qualche mese. È stato un grande attore londinese. In questo suo ultimo film è sorprendente come egli descrive la morte con ironico fatalismo; lo stesso gli sarà servito per presentarsi ad essa quando è stato convocato.