Non avrei mai immaginato, da donna completamente disinteressata al mondo del calcio, che dietro un allenatore potesse nascondersi tutto un mondo. Un mondo fatto di sogni, progetti e, addirittura, tanto cuore che batte. Perché, sempre ai margini del campo o seduti in panchina, questi “addestratori del pallone” appaiono a chi li osserva come creature inermi, che esultano o fanno schiamazzi bambini. Ma niente di più.
Poi, l’incontro con un libricino che si legge appassionatamente in un paio d’ore. Vale a dire, il tempo impiegato per trascorre con i mezzi di trasporto la strada dal mio paese a Bari e viceversa. È il “Gol di Platone” del giornalista barese Gianni Spinelli -ex vicecaporedattore della Gazzetta del Mezzogiorno di Bari, cronista del Guerin Sportivo e di Rigore, oltreché del Corriere della Sera- che porta il lettore a scoprire (o a riscoprire) colui che gli amanti del calcio considerano l’allenatore per eccellenza: Zdeněk Zeman.
Semplice e accattivante l’idea. Il professore Fabio, poco interessato al pallone di cuoio proprio come la sottoscritta, per curiosità si mette sulle tracce del boemo. Ai suoi occhi, emerge chiaramente come nel calcio possa esserci tanta letteratura, poesia e filosofia. O, più in generale, che si tratti di uno sport che può elevarsi a metafora della vita.
E allora Zeman è un po’ Milan Kundera, per la comune esperienza della Primavera di Praga e un pensiero simile di poeticità.
Nel suo 4-3-3 ci sono echi degli “interminabili spazi di là da quella, e sovrumani silenzi e profondissima quiete” di leopardiana memoria.
La Zemanlandia di Casillo, che scombinò il modo di fare calcio, somiglia alla “Città del sole” di Tommaso Campanella.
La sfrenata ricerca per il bel gioco è accostata al genio di Carmelo Bene e alla sua idea di calcio quale “sintonia con il fiato sospeso, nostro e di tutti gli spettatori”.
E, ancora. Zeman scontroso. Zeman personaggio da circo equestre. Zeman come mina esplosiva contro l’abuso di farmaci per alcune società sportive e, successivamente, in Calciopoli.
In sostanza, recuperando articoli e studi su Zdeněk, Gianni Spinelli ci ripropone con ironia alcuni accostamenti surreali tra il calcio e altre espressioni artistiche e ci fa ripercorrere la carriera dell’allenatore. Dalla Sicilia al Foggia di Casillo e all’esperienza con la Roma di Franco Sensi, per approdare a un finale a sorpresa e sbalorditivo, in cui egli si ritrova ad allenare proprio quella società che ha strenuamente osteggiato.
Una lettura, dunque, che riesce chiaramente nel suo intento. Giunti all’ultima pagina, è ben che superato il preconcetto -tipicamente femminile, ma non solo- che nel calcio tutto è vuoto, sporco e stupido