Poderoso tomo di oltre novecento pagine (almeno nella versione integrale pubblicata da Newton Compton nella collana de “I Mammut”), “I Miserabili”, fu scritto dalla fulgida penna di Victor Hugo durante un arco temporale di circa quindici anni e dato alle stampe addirittura in due parti: la prima il 3 aprile del 1862, la seconda il 15 maggio dello stesso anno. Come spesso accade per i capolavori, inizialmente la critica lo accolse malamente: fu accusato d’immoralità e di eccessiva autocelebrazione dei moti rivoluzionari. Il pubblico però ne decretò un immediato successo in tutto il mondo, tant’è che fu tradotto in moltissime lingue. Un successo che continua ancora oggi, a distanza di oltre centocinquant’anni, rispolverato e riproposto al cinema e in televisione più volte (non sempre con prodotti all’altezza) fino ad approdare sulle prestigiose tavole di legno di Broadway trasformato naturalmente in un musical farcito di splendide canzoni, da cui hanno tratto anche un film (bellissimo, questo si) con un cast stellare nel 2012 con la regia di Tom Hooper.
Segno evidente tutto questo, che se un’opera ben scritta resta nella memoria storica collettiva e diventa un patrimonio culturale eterno da cui “abbeverarsi” a piene mani. Un classico da scoprire per chi non lo avesse ancora letto, o da riscoprire, per i temi ancora molto attuali. Difficile riassumerne la trama. Ambientato a Parigi tra il 1815 e il 1833, offre varie chiavi di lettura e contiene un numero esorbitante di personaggi, tra principali e secondari, tutti tratteggiati in maniera superba. La narrazione si suddivide in cinque tomi, ciascuno a sua volta suddiviso in vari libri e capitoli.
“I Miserabili” è innanzitutto un romanzo storico, ma anche sociale e filosofico. Vengono, infatti, narrati i feroci scontri tra rivoluzionari repubblicani, capeggiati dalla potente figura di Enjolras e i soldati di Re Luigi Filippo, che porteranno numerose vittime da entrambe le parti. Pagine di una spaventosa attualità (vedi Grecia) che si condensano nelle parole proprio di Enjolras: «Amici, l’ora in cui ci troviamo, in cui vi parlo, è tetra, ma è il terribile prezzo dell’avvenire. Una rivoluzione è il pedaggio. Oh, sì! Il genere umano verrà liberato, rialzato, confortato! Glielo giuriamo noi su questa barricata. E da dove lanceremo il grido d’amore se non dall’alto del sacrificio?». Riflettete gente. Riflettete. Noi siamo Italiani, popolo d’indolenti…meglio che si sbattano gli altri, no?
In questo frangente, toccante è la figura del piccolo Gavroche, marchiato sin dalla nascita da un infame destino che non gli concederà alcun riscatto, né tantomeno il tempo per poterlo attuare.
“I Miserabili” è anche un romanzo d’avventure, che vedono protagonista assoluto Jean Valejan, il quale si ritrova a rubare un tozzo di pane per nutrire la sua famiglia, e a dover scontare un’esagerata pena di cinque anni ai lavori forzati di un carcere. Ne seguiremo tutte le peripezie sin dalla sua evasione: i numerosi cambi d’identità e di nome, l’incontro con la piccola e sventurata Cosette, che è stata abbandonata per motivi economici da sua madre Fantine. Valejan, dopo aver conosciuto quest’ultima, si prenderà amorevolmente cura della piccola, che rappresenterà per lui una sorta di riscatto personale.
“I Miserabili” è infine un romanzo d’amore, con la tormentata e appassionante storia tra Cosette, che nel frattempo è diventata una splendida ragazza e Marius, uno studente universitario di nobile lignaggio, liberale, repubblicano e bonapartista, che, in quanto tale, è diseredato da suo nonno, un inguaribile e tenace monarchico.
Tutte queste storie sono sapientemente intrecciate da Hugo sullo sfondo della vera unica e ingombrante protagonista: Parigi. La città è descritta con una minuzia di particolari: ogni ciottolo delle sue strade e stradine, ogni mattone dei suoi palazzi, ogni profumo delle sue botteghe. Arrivando persino a dare corpo alla sua anima più “intima” e “nera”: la fognatura. Colpisce e affascina come tutta la narrazione sia filtrata dal punto di vista che più basso non si può: quello della povera gente. Quello de les miserables, appunto. Indicativa la frase che racchiude il senso di tutto il romanzo e che ne spiega il filo conduttore: «Una mela è una cena, una mela è una vita». Giusto per riflettere ancora, in questo tempo di vacche magre