Ogni anno il Festival fasanese diretto da Domenico De Mola rinnova il “gemellaggio” creato tra la kermesse e i gruppi musicali appartenenti alla storica “scena di Canterbury”, la corrente di rock progressivi che diede un impulso prepotente alla musica tra la fine degli anni ’60 e i primi ’70. Dopo gli Hatfield and the Nord nel 2005, i Soft Machine Legacy nel 2007, i Gong nel 2009, è stata la volta dei Caravan. Protagonisti assoluti dell’evento centrale nel cartellone di questa diciottesima edizione, il gruppo nato nel 1968 a Canterbury, nel Kent, dopo la produzione dei primi cinque album, dalle fortune alterne, hanno visto il declino con scioglimenti e rimaneggiamenti nella formazione fino a quella attuale.
Sulla scena “cinque animali da palcoscenico”: Pye Hastings, alla chitarra, unico membro della prima formazione della band; Geoffrey Richardson al violino, chitarra, flauto dolce e spoons, Jan Schelhaas alla tastiera elettronica, Jim Leverton al basso e Mark Walker alla batteria, che ha sostituito Richard Coughlan, morto nel 2013. I primi quattro, dei veri “nonnetti sprint” che con la loro consolidata esperienza e con la complicità dell’esuberante “piccolo” Walker, hanno letteralmente fatto “esplodere” d’entusiasmo il pubblico del teatro. A dimostrazione che l’energia non ha età e che il 99% delle band giovanili dell’attuale scena musicale deve solo imparare ascoltando “in religioso silenzio”.
- foto di Chicco Saponaro
- foto di Chicco Saponaro
Un concerto imperdibile quello dei Caravan, che hanno toccato con il loro tour la nostra penisola solo due volte: a Schio il 30 maggio e Fasano l’1 giugno. Circa due ore ininterrotte di concerto durante le quali il gruppo ha eseguito quindici brani tra quelli più celebri della loro produzione.
A cominciare dalla trascinante “All this could be yours”, seguita dalla delicata “Headloss”; quindi la famosissima “In the land of Grey and Pink”, tratta dall’omonimo album che è valso ai Caravan il disco d’oro per le vendite. E ancora, “Golf Girl”; la meravigliosa e romantica ballata “The Paradise filter”, l’ironica e briosa “Trust me I’m a doctor” e “Nightmare”. Non è mancato il momento dei ricordi con due pezzi dedicati alla memoria di Coughlan, “Farewell my old friend” e “For Richard”. Poi la suggestiva “Dead man walking”, “I’ll be there for you” e per finire “Nine feet underground”, una lunga (circa diciannove minuti) suite considerata da molti esperti del settore e molti estimatori, il loro capolavoro. Un pezzo travolgente che ha regalato emozioni con il finale scoppiettante tra jazz, rock duro e musica psichedelica. Divertenti, divertiti e instancabili i vecchietti del prog, che hanno concesso anche due bis: “I’m on my way” e la classica suite “Memory Lain, Hugh”. Standing ovation per loro, un lungo caloroso abbraccio ideale per imprimere nella memoria una serata indimenticabile.