di Carmela Moretti
Se il corrimano di un autobus non l’avesse trafitta, entrando da un fianco e uscendo dalla vagina, il mondo non avrebbe avuto Frida Kahlo. Per la pittrice messicana, l’arte è stata un balsamo sulle ferite del suo cuore, mentre quelle del corpo l’hanno tormentata fino alla fine. Fu operata 36 volte, ebbe la “sventura” di innamorarsi di Diego Rivera, morì nel 1954 dopo l’amputazione di una gamba. Insomma, visse una lunga serie di situazioni tragiche e rocambolesche, al punto tale da sospirare sul letto di morte: “Sono contenta di andarmene e spero di non tornare mai più”. Tuttavia, l’esposizione organizzata alle Scuderie del Quirinale a Roma -l’occasione è il sessantesimo anniversario della morte- vuole condurre i visitatori al di là delle sue vicende biografiche. Un invito ad allargare lo sguardo e a ricollocare Frida nel posto che merita nella storia dell’arte.
Dal museo di Coyoacán (Città del Messico), circa cento capolavori sono stati trasferiti nel palazzo romano. Procedendo di sala in sala, i visitatori hanno modo di ripercorre la sua carriera, a cominciare dai primi passi avvenuti all’ombra di Rivera fino al riconoscimento mondiale, passando per l’incontro con i Surrealisti e le suggestioni newyorkesi. È una ricca produzione, costituita perlopiù da autoritratti che sono anche i suoi quadri più belli: in Autoritratto con abito di velluto del 1926 o il celebre Autoritratto con collana di spine e colibrì, la pittrice si dipinge con baffi e sopracciglia folte non per autocompiacimento, quanto per vestirsi di un valore trascendentale e universale. Attraverso queste opere, Frida sembra dapprima voler portare lo spettatore a prendere consapevolezza delle proprie miserie, e poi lo carezza amorevolmente. Ma sono coinvolgenti anche le opere che risentono dell’influenza del Surrealismo e della lezione di De Chirico, e che mostrano come la pittrice non fosse estranea al dibattito artistico dei suoi anni. Ne L’abbraccio amorevole dell’universo, la terra, Diego, io e il signor Xolotl del 1949, mescola tradizione messicana, filosofia zen e suggestioni surrealiste per far emergere il suo inconscio ed esprimere il desiderio di riappacificarsi con il marito e con il cosmo intero. Quindi, nonostante qualche mancanza significativa, l’esposizione romana è ben realizzata e riesce a trasferire tutta la complessità di questa donna: pittrice amata perché nella sua vita privata e artistica ha trovato sempre la forza di essere autentica. Ma sapevate che i suoi autoritratti nascondono anche una strategia politica –proprio come le opere di suo marito e di tutti i muralisti del Messico? Per gli storici dell’arte, con la ripetizione insistente della propria immagine, Frida ha voluto contribuire alla Rivoluzione del popolo messicano ed emancipare inconsapevolmente la figura femminile, in un’epoca in cui la donna era ancora sottomessa. Questo fa di lei una coraggiosa rivoluzionaria e una femminista ante litteram.