Appena varcata la soglia tra il mondo reale e quello virtuale, siamo attratti da una immensa folla che intravediamo in lontananza. Milioni di volti ammiccanti, in pose conturbanti, emanano un richiamo simile a quello sessuale. Donne belle e giovani, che mostrano la loro vita fatta di sorrisi, di nottate a cazzeggiare in compagnia della più svariata umanità dei “senza pensieri”. Un “must have” obbligatorio nelle nuove generazioni. A queste immagini patinate si sovrappongono, patetiche e deprimenti, quelle sfigate che non si caca nessuno. Si susseguono, con una certa supponenza, le donne mature, che convintissime di avere ancora qualche chance, si pongono all’obiettivo sconciamente. Gli uomini, giovani e vecchi sono più seriosi nel mostrarsi, ma la loro ritrosia non è sempre sinonimo di serietà. In questo cyberspazio, incontriamo tanti profili, alcuni falsi, altri veri, ma mai del tutto veritieri. Il voyeurismo impera, legato a doppio filo dal puro esibizionismo, che è il rovescio della stessa medaglia. La giungla virtuale, in cui siamo catapultati, ci offre scenari esilaranti di cui godiamo pienamente: ragazze integerrime, dall’aspetto timido e timoroso di Dio, che lanciano segnali di fumo ai loro focosi amanti segreti, utilizzando frasi sibilline, comprensibili solo al destinatario; fedifraghi impenitenti, che fanno un uso sconsiderato della luna, a cui sono costretti a gridare il loro amore; donne in carriera, dichiaratamente femministe, che perdono la loro dignità, posando come gatte in calore, col piglio di dive decadenti e adescatrici; cessi umani, che bleffano sulla loro vita sessuale, lanciando messaggi erotici a chi (?) fa battere il loro cuore, e invece trattasi di tachicardia da prolungata astinenza; soggetti disturbati e paranoidi alla ricerca di oggetti persecutori, su cui sfogare la propria aggressività; uomini di aspetto repellente, che non rinunciano al ruolo di cacciatori e di mercanti del sesso facile, ma che si tromberebbero anche la nonna del loro migliore amico, se ancora respirasse; spaventapasseri agghindate a festa, con tanto di cappellino, che assolvono degnamente il loro ruolo primario e molto, ma molto di più. Queste figure grottesche e patetiche, prive di capacità autoironiche e autocritiche, sono tenute in vita grazie all’ossigeno taroccato del loro entourage. Lo show va avanti nel teatro virtuale, in cui ognuno recita le proprie verità e mette in scena il proprio vissuto, i gusti, le tendenze politiche, i propri sentimenti. Il pubblico è variegato, perlopiù sconosciuto e, attraverso la sua approvazione e interazione, crea una sorta di dipendenza, dovuta al bisogno di continue conferme alla propria esistenza virtuale, nella quale il “ mi piace” diventa la panacea degli stolti. L’ignoranza è preponderante, specie nelle nuove generazioni, a cui si aggiunge la scarsa conoscenza della lingua, tanto da indurre, chiunque abbia un minimo di proprietà di linguaggio, a desiderare fortemente di essere analfabeta, solo per risparmiarsi lo strazio di molti “ stati “. I temi preferiti di discussione vertono sulla vita privata e sentimentale, con le sue gioie e i suoi dolori e si concretizzano con l’uso di post che contengono massime filosofiche, aneddoti, aforismi e poesie, presentati come temi su cui riflettere. Ragione per cui, ogni ” testa di rapa” si sente in grado di distillare, “ coram populo”, gocce di sapienza insipide, alla ricerca di quei consensi che elevano tutti al rango di filosofi della vita. Le donne ne escono sconfitte e subordinate, prima che all’uomo, al proprio modello di riferimento: egocentrico, vanesio, autoreferenziale ed esibizionistico. Vittime e schiave della propria vanagloria e peggiori nemiche di se stesse, perdono di vista, molto spesso, la loro insignificante immagine reale, proponendosi come bellezze rare e appetibili, ma farebbero meglio a puntare sulla simpatia, sull’intelligenza e sull’autoironia, sempre se ne sono provviste. La folta schiera di “femmine di rospo” avanzano sul facebook- set in cerca di consensi, ma l’enorme platea a cui si presentano non è fatta solo dal babbo, dal fidanzato, dal vicino di casa, dal collega o dall’amico,ragione per cui i fischi di disapprovazione e di scherno superano, insieme al silenzioso sentimento di pietas, gli eventuali applausi che scioccamente si aspettano. La vita non è fatta solo di bellezza e allora perché puntare proprio su una cosa che non si possiede? E’ uno dei tanti misteri “facebookiani”, che, insieme ad altre aberrazioni, ma anche agli enormi aspetti positivi, disciplinano un mondo altamente libero, dove il concetto di democrazia è grossolanamente ridefinito dalle nuove regole della comunicazione e governato prevalentemente dall’immagine proiettata del sé immaginario, che adegua tutti alla oggettiva realtà sociale di facebook e al sistema soggettivo dei valori e dei giudizi vigenti, solo e soltanto al suo interno. Niente di concreto, dunque, ma la nuova classe virtuale esercita la sua sovranità in un luogo diverso da quello reale, provando a riscrivere le regole democratiche della convivenza virtuale. A questo punto, siamo attratti da un enorme manifesto pubblicitario: “Qui a Facebook noi facciamo così” e sprofondiamo in un abisso di riflessioni, convinti che ci vorranno ancora moltissimi anni per dare a questo luogo quello che Pericle dette agli Ateniesi: le regole base della democrazia. Vien voglia di scappare immediatamente e di tornare indietro nel mondo reale, in cerca di un abbraccio, del suono di una voce e del calore umano di una stretta di mano.