Fabrizio De André: un santo, un diavolo, un ateo, un alcolizzato, un puttaniere, un musicista, un profeta, un genio, un anarchico, un ribelle, un amante, un principe, un poeta, un cantautore o, forse, solo un uomo. Forse l’unica parola che riesce ad essere summa di tutto è proprio “uomo”. Uomo come quelli che ha cantato, uomo come quelli che ha difeso.
Un uomo sempre “in direzione ostinata e contraria” ritratto da Luca Marinelli nella biopic “Fabrizio De André – Principe libero” (Coprodotto da Rai Fiction e Bibi Film) con la regia di Luca Facchini e la scrittura di Francesca Serafini e Giordano Meacci. Quello che ne viene fuori è anzitutto un cast formidabile e azzeccato: Gianluca Gobbi nei panni di Paolo Villaggio è l’eco diretta del vecchio amico d’infanzia che ha dato a Fabrizio il soprannome di Faber; Elena Randonicich presta il volto a Puny, prima moglie di De Andrè e madre di Cristiano; Davide Iacopini è il fratello che sarà sempre suo strenue sostenitore; Ennio Fantastichini è invece il padre, con cui il Principe Libero ha avuto un rapporto controverso smussato nella pellicola (commovente il momento della sua morte); Valentina Bellè indossa i panni di Dori Ghezzi, la seconda moglie e grande amore di Faber con cui ha avuto Luvi ed è stata sequestrata per quattro mesi in Sardegna. Poi c’è Luca Marinelli che nelle sue spalle curvate, nel modo in cui tiene la sigaretta e il ciuffo davanti agli occhi, nel modo in cui si accartoccia sulla chitarra (quella originale di Faber, prestata per l’occasione assieme agli abiti da Dori Ghezzi) traccia il profilo di Fabrizio. E ha ragione Dori Ghezzi quando dice che nessuno oltre lui avrebbe mai potuto interpretare De André. Luca Marinelli, che quando canta “Il Pescatore” con la PFM lascia che lo spirito di Fabrizio prorompa nella scena dove le luci regalano l’illusione che sia scampato alla morte. È per questa sequenza -così come quella con Tenco in riva al mare, quella con Villaggio a cantare “Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers” e quella con “Volta la carta” di sottofondo agli abbracci con Dori Ghezzi in Sardegna- che dettagli come la poca cadenza genovese perdono d’importanza. Ed è sempre per questi momenti che si perdona un finale magari troppo frettoloso. Imperdonabile, invece, è la Rai che tronca il video di De Andrè in concerto che canta Bocca di Rosa per lanciarci nel salotto di Vespa con Berlusconi.
“Fabrizio De André – Principe Libero” non racconta tanto il percorso artistico del cantautore, lasciando fuori figure ingombranti e fondamentali nella sua vita, ma ci apre uno squarcio nella sua quotidianità, nei suoi affetti e nei suoi difetti. Sfiora solamente le muse delle sue canzoni: le puttane (perché edulcorare?, lui non l’ha mai fatto), i travestiti, i suicidi, i drogati, i rom, gli indiani, gli ultimi e gli oppressi cui riconosce la dignità di essere liberi. Racconta dell’uomo Fabrizio, da sempre interessato agli altri uomini al punto che ne “La buona novella” preferisce delineare la figura di Cristo in quanto uomo fra uomini e non in quanto figlio di Dio. Racconta del principe libero “col suo marchio speciale di speciale disperazione” alla fine delle cui dita è stato bello che in qualche modo sia incominciata una chitarra, che si è mosso fra sacro e profano descrivendo bellezza ed abissi, sesso e guerra, amore e morte.
E allora grazie Fabrizio De André, grazie Faber, per aver consegnato “alla morte una goccia di splendore, di umanità, di verità”.