Crescenza Guarnieri, strepitosa Anne Sexton in “Tutti i miei cari”
“Eva contro se stessa”. Dopo aver assistito alla performance di Crescenza Guarnieri in “Tutti i miei cari”, è stato facile cercare e trovare i punti in comune con il capolavoro di Joseph L. Mankiewicz del 1950 interpretato dal mito Bette Davis. Mentre lì la protagonista Margo Channing, diva oramai al tramonto, lotta contro la giovane attrice che le vuole rubare il ruolo e non solo, qui Anne Sexton donna, lotta contro se stessa, la poetessa. Il cerchio si chiude con il tocco di genio del testo scritto da Francesca Zanni: all’improvviso è l’attrice che sguscia dal corpo che domina la scena, per combattere la sua personale battaglia contro il personaggio, in un monologo incalzante, a tratti disturbante per la crudezza con cui sono sbattute in faccia allo spettatore le sue verità non tanto nascoste. Monologo che conquista dalla prima all’ultima parola.
Andato in scena nel piccolo ma stracolmo (si è dovuto, infatti, replicare l’unica data prevista) auditorio Bianco-Manghisi di Monopoli, nell’ambito della rassegna “Venerdì a Teatro – Salvo eccezioni” organizzata dall’Apad, “Tutti i miei cari” è stato firmato alla regia da Francesco Zecca. Una messa in scena armonica, puntuale e curata nei minimi particolari, dal bicchiere tenuto in mano dalla protagonista, che diventa così co-protagonista, alle musiche che creano immediatamente la lontana e affascinante epoca degli anni ’50 e ’60. Conturbante il look di Anne: una triste caramella con tanto di parrucca rosa; bambola smarrita che racchiude un mondo devastato e un’anima fragile e spezzata.
Storia vera, dunque, quella di Anne Sexton, cresciuta nel totale disagio per la vita che “gli altri” le avevano preparato. Genitori alcolizzati e probabilmente autori di un abuso sulla propria figlioletta (sapientemente accennato nella narrazione teatrale), che annullano le sue aspirazioni letterarie iscrivendola a una scuola professionale per diventare “moglie e madre perfetta”. Cosa che naturalmente non avverrà. Anne conosce e sposa Alfred (che sarà chiamato semplicemente Amore), con cui avrà due figli. Di qui i primi segni di malattia mentale, da cui non troverà scampo nemmeno con le sue poesie, anche se saranno la sua unica disperata via di fuga e che le faranno vincere addirittura il Pulitzer. Anne è condannata, però, a essere una donna frustrata, sola, alcolizzata e depressa, che tenterà più volte, di suicidarsi (una parola che non riuscirà mai a pronunciare per intero). L’ultima di queste, chiusa nell’auto in garage, per inalazione di monossido di carbonio, le sarà fatale.
«Ho dentro qualcosa che non sa come organizzarsi, che non riesce a vedere nient’altro che quello che gli hanno insegnato a vedere. Come devo essere, io, per andare bene. Quale traguardo devo raggiungere, per essere come gli altri. Le domande mi spingono a calci verso quel traguardo, ma io mi perdo, rallento, inciampo e cado. Io non lo so fare, quello che volete voi». Per tutto il tempo dello spettacolo (che vi consigliamo di non perdere) lo spettatore è ineluttabilmente attratto come un magnete, dal disagio della protagonista, trasmesso tridimensionalmente grazie anche alla recitazione di Crescenza Guarnieri. Padrona della scena non solo con il corpo, ma con le vibrazioni e le sfumature interpretative, che dal legno del palco abbattono, e nemmeno in silenzio, la quarta parete.