Ogni anno, le Master Class del Bif&st sono la parte più entusiasmante del ricco programma. Soprattutto per i giovani spettatori, ai quali il premuroso direttore Felice Laudadio offre viaggi “mentali” in epoche e luoghi sempre diversi. Non solo lezioni di cinema, dunque, ma anche lezioni di storia, di costume, di filosofia e di vita. Con il regista greco Costa Gavras, l’uditorio è stato trasportato in pochi minuti nell’Arcadia, regione bucolica che ha dato i natali al regista, e poi negli anni duri della guerra civile fra la guerriglia comunista e il governo monarchico della Grecia. Bellissimo l’assist dell’intervistatore Michel Ciment, che ha trovato nel cinema di Gravas accostamenti con il quadro l’Arcadia di Poussin, per la rappresentazione nel contempo del tragico e dell’utopia, della macabro e della gioia.
Non so quale sia l’origine dei miei film, non ho mai indagato. Ma credo che tutto mi abbia segnato. Ho vissuto l’occupazione tedesca, la guerra civile, la povertà e la necessità di sopravvivere, contando su una riserva di cibo non considerevole. Tutto questo mi ha permesso di capire la vita in modo diverso.
Dalla guerra civile alla Parigi degli anni ’50. La città francese accolse maternamente il ventenne Costa Gravas, che affiancò grandi figure del cinema come Jean-Pierre Jeunet, René Claire, Yves Allegret e René Clément, spiccando il volo verso il successo.
Lavorare come assistente di questi registi è stata un’esperienza straordinaria. Per circa otto anni ho sempre accettato stage, una fase di apprendistato non necessariamente davanti alla macchina da presa. Molto importante è stato l’incontro con Yves Montand e Simone Signoret.
Simone Signoret è stata la Brigitte Bardot di quegli anni. Bionda e sensuale, ha incarnato l’idea di una femminilità spregiudicata e moderna. Yves Montand, conosciuto soprattutto per le sue “feuilles mortes”, aveva un particolare accento francese che gli consentiva di interpretare delle maschere. Entrambi accettarono di recitare nell’opera prima del regista, “Vagone letto per assassini”.
Con Signoret, Montand e un gruppo di intellettuali ci incontravamo nei week-end, nella provincia parigina Si parlava del mondo e della politica, approcciandoci con distanza e riflessione. Da loro ho imparato un nuovo modo di pensare e di vivere.
Il successo per Gavras arriva con “Z – L’orgia del potere”, vincitore dell’Oscar come miglior film straniero e del Premio della giuria al 22º Festival di Cannes. Un film sulla Grecia dei colonnelli, che ha avuto un iter molto particolare per arrivare nelle sale cinematografiche, come ci racconta il regista con trasporto emotivo.
Tutti gli attori volevano interpretare questo film, perché convinti della sua importanza ideologica e quasi rinunciando all’onorario. Ma era difficile trovare soldi, perché i produttori pensavano che sarebbe stata una catastrofe. Difatti, la prima settimana di uscita del film è stato un fiasco, alla seconda settimana qualcosa si è mosso (oggi non sarebbe stato possibile, perché i film vengono tolti dopo qualche giorno).
A interessare Gavras è sempre stata la “politica”, a cui egli attribuisce un significato semantico particolare. Attinge, infatti, ad Hannah Arendt e alla sua idea di politica come “un totale di uomini che si riunisce, discute, si consulta e si accorda su un punto comune”.
Con “Z-L’orgia del potere” non intendevo fare un film politico sulla presa di potere da parte dei colonnelli. O meglio, bisogna capire filosoficamente che cosa sia la politica. È difficile dare la risposta, per me è quello che si crea tra gli uomini, politica intesa come relazione. Sono gli uomini e la loro reazione dinanzi al potere ad attrarmi.
Sapevate che Costa Gavras rifiutò di “fare” Il Padrino?
Non ero interessato a fare un film sulla mafia americana. Io provenivo da un gruppo che guardava il mondo e aveva uno sguardo lungo sulla storia. Eppoi, non avrei saputo fare meglio di Coppola.